Urban Rooftop. Lotta al cambiamento climatico, agricoltura urbana, nuovi contesti di socializzazione
È una questione di verticalità, potremmo dire. Se l’ambiente preoccupa, se le temperature salgono e la pioggia non arriva, se cerchiamo una via di fuga, una voce ci suggerisce che, nei grandi agglomerati, la chiave del paradiso è nascosta sui tetti. È un’esagerazione, ovviamente. Ma lassù è tutto un formicolare, come potete leggere anche a p. 146: un frusciare, brindare, danzare, coltivare, creare, fare giardinaggio, leggere, installare sistemi di recupero dell’acqua e pannelli fotovoltaici. L’entusiasmo cresce e le iniziative fioriscono. Se la città scala le facciate, è per rispondere a due importanti poste in gioco: una sociale, l’altra climatica. Due questioni che interagiscono per giungere a una sola conclusione: in un mondo che corre lungo questi binari, bisogna trovare – e in fretta – nuovi modi per respirare. La posta in gioco è più che grossa: è vitale. Ritrovare spazio, guadagnare un posto: quello per muoversi, per fare, per (sopra)vivere, anche. Lo conferma Frédéric Madre, specialista della biodiversità negli edifici verdi e dell’agroecologia urbana. Madre ha partecipato alla creazione dell’orto sperimentale sui tetti di AgroParisTech a Parigi nel 2012, poi ha co-fondato Topager nel 2013. Da dieci anni è testimone privilegiato dell’evoluzione dei rooftop. Oggi la domanda si è istituzionalizzata, ci dice: «L’amministrazione comunale di Parigi ha promosso l’agricoltura urbana, l’inverdimento e le coltivazioni sui tetti». Poi sono arrivati gli imperativi delle filiere corte, l’urgenza di reagire al riscaldamento climatico, la gestione delle acque piovane, l’imperiosa necessità di lottare contro le isole di calore urbane in modo permanente. «Perché sì, bisogna preparare le città, bisogna adattarle per quanto possibile al cambiamento climatico: se non le rinverdiamo di più, diventeranno invivibili». Pandemia e lockdown hanno risvegliato un gran numero di persone: una presa di coscienza (improvvisa) della necessità di tornare alla massima autonomia per salvarsi la pelle (prima di tutto) e per dare anche (se possibile) un po’ di senso alla vita di oggi. D’accordo, ma come? Dove? Nella frenesia urbana, una sola risposta: sui tetti. Spiega Ronan Fournier Le Ray, architetto associato cofondatore dell’agenzia Mfr Architectes: «I tetti sono stati a lungo uno spazio abbandonato. Si parlava spesso di “quinta facciata”, dove nascondere tutte le frattaglie tecniche: vere e proprie verruche viste dal cielo, immense superfici inutilizzate».
la galleria panoramica circolare your rainbow panorama di olafur eliasson sul tetto del museo aros aarhus (danimarca).
Combattere il caldo e il freddo
Mfr Architectes, con sede a Parigi, è specializzata nei progetti con rooftop: «Fin dall’inizio, la nostra idea era di considerare i tetti come un laboratorio attivo e di restituire questo spazio a tutti gli abitanti dell’edificio». Nel 2016 il percorso dell’agenzia si concretizza con uno dei suoi primi grandi progetti: Toi, Toi, Mon Toit, un complesso situato a Gennevilliers – città a nord-ovest di Parigi – i cui tetti sono per larghissima parte coperti di vegetazione. «Un orto attivo e 350 mq di terrazze condivise, un luogo di lettura e relax, un luogo per coltivare: un’area comune e parti private collegate da una scala agli appartamenti sottostanti. L’insieme è intensivo e non estensivo: significa che vi si trovano fra 40 e 50 centimetri di terra allo scopo di inverdire molto di più e con piante più alte. Si tratta di una filosofia dell’abitare e di un modo di costruire, e questo amplifica parecchie virtù, tra cui la più importante: quella termica, perché il primo beneficio di questi tetti è l’isolamento».
le terrazze del progetto immobiliare toi, toi, mon toit a gennevilliers (francia).
l’orto urbano sul tetto del teatro opéra bastille nella capitale francese.
Nuovo orizzonte
È stata esattamente questa filosofia a farsi strada nella mente di tutti: architetti, urbanisti, committenti… Mentre le dimensioni dei progetti aumentano (le coperture del nuovo campus AgroParisTech comportano oltre 6 000 mq di colture), in Francia ci si dà da fare ovunque: a Lione, Bordeaux, Angers, Nantes… L’ambizione è gigantesca, come lo è il potenziale (per accogliere progetti di impianti solari e/o di inverdimento e/o di agricoltura urbana). Secondo il primo database dei tetti di Parigi, firmato dall’Atelier parisien d’urbanisme (Apur), nella Capitale questa “riserva” ammonterebbe a 32,2 mln di mq: circa 128 000 coperture, di cui soltanto 3 500 di oltre 100 mq sarebbero oggi inverdite. Oltre alle risposte in ambito ambientale, comunque, a sbocciare sui tetti è anche l’idea di ravvivare un modo di «stare insieme» scomparso al pianterreno, continua Ronan Fournier Le Ray: «I tetti rappresentano l’accesso al cielo e alla luce. Paesaggio, respiro, prospettiva: lo sguardo può andare lontano, il che è fondamentale per il benessere. Spazio alla convivialità, alla condivisione, all’accessibilità». Insomma, i tetti di città e metropoli come via di fuga verso un nuovo orizzonte: quello che permette di sfuggire alla densità che soffoca. «Nessuna arte mi sembrava mettere meglio in evidenza la profonda pulsione estetica che sta in ognuno di noi. Ogni volta che vediamo un uomo camminare sulla fune, una parte di noi lo raggiunge lassù. A differenza di quanto avviene nelle altre arti, l’esperienza del funambolo è diretta, immediata, semplice, e non richiede spiegazioni», scrive Paul Auster nella prefazione al Trattato di funambolismo di Philippe Petit, che riassume perfettamente l’irresistibile attrazione che proviamo per “le altezze”.
dakendagen rotterdam, festival dedicato ai rooftop quest’anno dall’1 al 4 giugno.
Feste e festival
A Parigi, Marsiglia, Barcellona, Rotterdam, Amsterdam, Faro… In tante città e in tanti modi (musica, teatro, mostre…), i tetti si animano. Il riferimento è un festival, il Rotterdamse Dakendagen (o Rotterdam Rooftop Days, prossima edizione dal 1° al 4 giugno); ma anche il Marseille Rooftop Day fa parlare di sé: lo scorso luglio, ha messo sotto i riflettori 13 tetti-terrazze pubblici e privati. L’agenda dell’European Creative Rooftop Network conferma che per non perdere nulla bisognerà organizzarsi seriamente.
Argomenta Bruno Inácio, dirigente del servizio Cultura della municipalità di Faro (Portogallo) e membro del board del Network: «I rooftop sono meravigliosi laboratori per testare nuovi modi di vivere la città. Vi si può creare di tutto; e poi a tutti piace salire sul tetto, cambiare radicalmente prospettiva. Le Corbusier è stato un pioniere. È uno dei primi ad aver pensato la città “a livelli”. Trattava i tetti come un’estensione del suolo». Ecco, più farà caldo in città più avremo voglia di appollaiarci sui tetti… Resta da trovare il modo per dispiegarvi le nostre radici: la condizione per avanzare senza cadere dalla fune