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NIcosia

Tutto il fascino di Nicosia al di là del Muro

Nella classifica ufficiale delle città euroasiatiche inspiegabilmente più trascurate da girovaghi e viaggiatori, Nicosia ha ottime chance per puntare al podio. Sarà per la sua geografia relativamente distante dal mare, sarà che dal 1974 – anno dell’invasione turca – si ritrova senza aeroporto, sarà che per lo stesso motivo è pure divisa in due, fatto sta che la capitale cipriota non può dirsi esattamente una calamita. Molti dei quasi quattro milioni di turisti che sbarcano a Cipro ogni anno si spalmano sulle spiagge dei cementificati resort costieri guardandosi bene dall’avventurarsi all’interno, un bel sollievo per quella minoranza curiosa che a una teoria di cosiddetti “non luoghi” preferisce tornare a casa con qualcosa da raccontare. La Capitale più a sud d’Europa ha storia da vendere: abitata da 4 500 anni, Nicosia è la classica città-cipolla dove uno strato ne cela un altro, poi un altro e un altro ancora, secolo dopo secolo. Mura veneziane, chiese greche e bizantine, palazzi ottomani… per non parlare di tutto quello che giace sottoterra e che forse non vedremo mai. Gli archeologi del futuro guarderanno invece a Tower 25 – una bianca torre traforata alta 67 m e firmata Jean Nouvel – e alla vicina Piazza Eleftherias come simboli del nostro tempo. Inaugurata nel 2021 su progetto di Zaha Hadid, la piazza è ora il luogo di ritrovo per antonomasia e la cerniera architettonica tra il volto antico e quello contemporaneo di Nicosia: sei anni di lavori, una quantità di proteste per i disagi al traffico, scoperte archeologiche con conseguenti varianti in corso d’opera… ma chi la dura la vince. Progetto visionario e forse anche un po’ utopistico, quello enunciato da Zaha Hadid: «Piazza Eleftherias come fase iniziale di un piano urbanistico molto più ampio, che potrebbe fare da catalizzatore per la riunificazione della Capitale». Magari.

piazza eleftherias, pedonale, inaugurata nel 2021 su progetto di zaha hadid.

Nicosia

Sono passati 60 anni da quando si affacciò l’idea della green line (dal colore della matita a cera con cui il maggiore britannico Michael Perrett-Young la tracciò sulla mappa dell’isola) o United Nations Buffer Zone in Cyprus, 180 lunghissimi chilometri di terra di nessuno. Raggiunta Nicosia, la linea verde procede verso il centro storico sovrapponendosi al tracciato di via Hermes, in una vita precedente affollata di negozi e umanità, oggi silente, deserta e smantellata. Il confronto tra il suo volto odierno e i bianchi e neri del fotografo armeno Haigaz Mangoian (1907-1970), che a Nicosia aveva il suo studio, non lasciano scampo: qualcosa è andato storto, ma storto davvero. La matita verde risparmiò per fortuna l’ultimo terzo della via, che virando a sud finì nell’orbita della Nicosia “europea”: oggi è paradossalmente al centro delle zone più interessanti della Capitale, con edifici storici rimessi a nuovo per ospitare un potpourri di tendenza – caffè, ristoranti, gallerie d’arte, concept store – inframezzati da monumenti secolari come la più antica chiesa bizantina in città, Panagia Chrysaliniotissa (XV secolo). Al civico 285 c’è invece l’entrata del Cvar, un acronimo quattro lettere (sta per Centre of Visual Arts and Research) e un obiettivo da incorniciare: promuovere la cultura e la storia dell’isola e fungere da forum per la ricerca e la discussione nel quadro della riconciliazione e della comprensione tra tutte le comunità di Cipro. Che poi intendiamoci, passeggiando tra i vicoli della città vecchia tutto ti verrebbe da pensare tranne che a una capitale in sofferenza: all’ombra della chiesa di Faneromeni (1872), nell’omonima piazza, è un via vai di gente impegnata a godersi il weekend. Chi con un gelato in mano, chi con le borse dello shopping, chi con una foto ricordo.

ristorante matthaios: cucina locale molto apprezzata nella città vecchia.

Volti sorridenti anche ai tavolini di Fanous, dove atterrano terrine di hummus e di fattoush: il Libano è a due passi e da Beirut sono in tanti a doversene andare. Inflazione fuori controllo (+222% lo scorso anno), corruzione alle stelle, razzi che partono e che arrivano… Chi ha un gruzzolo da parte magari lo investe qui, che un ristorante in più male non fa. Nicosia è la prova empirica che un sistema quantistico può evolversi simultaneamente in entrambe le direzioni del tempo, affermazione verificabile da chiunque a patto di non essersi dimenticati il passaporto nel comodino. Basta palesarsi nella pedonale e affollata via Ledra, attendere il proprio turno al controllo documenti e via che si passa, rigorosamente a piedi, attraverso il varco spazio-temporale di cemento e filo spinato. Il retrogusto amarognolo di un confine reso necessario dall’inidoneità umana a convivere con i propri simili è mitigato qualche decina di metri dopo da un plotone di locali pieni zeppi di turkish delight. Si percepisce subito il ritmo rallentato di Nicosia Nord, o Lefkoşa – per dirla alla turca – così come la sua involontaria atmosfera rétro. Archistar non pervenuti, in questo versante della città. L’embargo imposto dalle Nazioni Unite ai ciprioti del Nord e tuttora in vigore, significa non poter esportare, non ricevere voli se non dalla Turchia, e pochi turisti (meno di 300 000, turchi esclusi, nel 2022).

Nicosia

la cattedrale di san Barnaba.

Nicosia

büyük han (1572): caffè, botteghe di souvenir e turisti in posa instagram.

Il budget comunale, ça va sans dire, è quello che è, va già bene che si riesca a tenere in piedi l’esistente. Per orientarsi basta guardare in alto, non in direzione della Stella polare – che anche a Cipro Nord è fuori servizio nelle ore diurne –, ma della sagoma di Selimiye, monumentale costruzione “fusion” con elementi riconoscibili da cattedrale gotica. Sul biglietto da visita della sua prima incarnazione – costata oltre un secolo di lavori, fu consacrata nel 1326 –, c’era scritto infatti chiesa di Santa Sofia. All’arrivo degli Ottomani (1571) era già sopravvissuta a un paio di terremoti e ai saccheggi dei Genovesi, ma la sua carriera nel mondo cristiano era ormai giunta al crepuscolo. Le furono appioppati un paio di minareti, gli affreschi sparirono sotto mani di vernice e gli arredi finirono al macero: et voilà che da un giorno all’altro ci si ricicla in moschea. Spoiler alert: da qualche anno è imbacuccata d’impalcature causa restauro. Impeccabile dentro e fuori è invece il Büyük Han del 1572: il caravanserraglio ottomano, da non perdere. L’interno è un brulicare di caffè, botteghe di souvenir e turisti in posa Instagram. Più autenticamente local il vicino mercato municipale – Bandabulya –, luogo d’incontri, pettegolezzi e commerci di ogni tipo da quasi un secolo. Chissà che un giorno torni a esserlo per tutti.

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