Smart working dopo lo stato d’emergenza: il 75% degli italiani vuole il lavoro ibrido
Il 31 marzo – ultimo giorno dello stato d’emergenza dovuto alla pandemia – si avvicina, e molte aziende italiane stanno gradualmente iniziando ad accantonare (totalmente o parzialmente) il lavoro da remoto. Ma altre imprese – soprattutto quelle di grandi dimensioni – hanno ridefinito i propri assetti organizzativi e culturali, rendendo permanente quella che sembrava una situazione temporanea.
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Cosa ne pensano gli italiani dello smart working
Ma qual è il bilancio dei lavoratori dopo questi due anni in cui il lavoro da remoto si è trasformato da eccezione a normalità? Secondo un’indagine condotta da Reverse SpA – su un campione di 1.019 lavoratori dai 25 ai 60 anni –, gli italiani sono complessivamente soddisfatti dello smart working, ma il 75% preferirebbe continuare con una forma ibrida: un po’ in ufficio, un po’ da casa. Il 48% degli intervistati ha riscontrato principalmente aspetti positivi in questa forma di gestione del lavoro, e solo il 12% (in maggioranza donne) ritiene che il rapporto con i colleghi sia peggiorato a causa dello smart working.
Vita personale e spese sostenute dall’azienda
L’83% del campione ha affermato che il lavoro da remoto ha garantito un migliore equilibrio tra vita personale e vita professionale. Ma dal report – che ha preso in considerazione anche le esperienze di dirigenti e Hr manager di sei aziende italiane – è inoltre emerso un dato che testimonia un preoccupante divario tra lavoratori e imprese in questo periodo storico: da una parte, l’81% dei dipendenti intervistati ritiene che l’azienda dovrebbe in parte sostenere le spese di chi opera da casa (connessione a internet, postazione di lavoro, ecc…); dall’altra, si legge che “la totalità delle aziende intervistate non prevede di modificare il contratto includendo una partecipazione alle spese per chi lavora in smart working”.
Lo smart working è qui per restare
Secondo i dati dell’Osservatorio smart working della School of management del Politecnico di Milano, il graduale ritorno in ufficio non segnerà il declino del lavoro da casa. Da questo punto di vista, insomma, la pandemia potrebbe aver portato un cambiamento destinato a rimanere. Le stime prevedono che, superata l’emergenza sanitaria, lo smart working resterà o sarà introdotto nell’89% delle grandi aziende, nel 62% delle PA e nel 35% delle piccole e medie imprese. In queste ultime, però, potrebbe prevalere un approccio informale e non regolamentato al lavoro da remoto (un elemento che potrebbe penalizzare i dipendenti), a differenza dei progetti strutturati che si vedono nelle imprese più grandi. L’osservatorio stima che dopo l’emergenza Covid saranno 4,38 milioni gli italiani in smart working (totale o ibrido): un numero in leggera crescita rispetto a quello del terzo trimestre del 2021, quando i lavoratori da remoto erano 4,1 milioni (contro i 5,3 milioni del primo trimestre 2021 e i 4,7 milioni del secondo trimestre 2021). Prima della pandemia, lavoravano in smart working meno di 600mila italiani.
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