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Quando la tecnologia si mette in mostra

Un ex cinema di quartiere a Barcellona, l’Ideal, risalente al 1917, trasformato e rimodernato nel corso degli anni e divenuto Ideal Centre d’Art Digitals, traccia il futuro – o forse il destino – del medium cinema. Che per sopravvivere deve offrire al pubblico esperienze sempre più coinvolgenti. O, con linguaggio contemporaneo, immersive. Anche ai musei non bastano più gli strumenti interattivi di cui essi si sono dotati per essere al passo con i tempi. Ormai alcune mostre di successo nascono già in formato multimediale, fanno uso della realtà virtuale immersiva. Che è una realtà virtuale, digitale, che con l’utilizzo di dispositivi speciali, fa sentire chi la vive completamente coinvolto, in essa immerso. In questo nuovo mondo, artificiale, diventano musei anche luoghi che non lo sono; in cui si racconta una storia, la vita di un artista, di un personaggio ambientata nella sua epoca, si proiettano immagini sui muri e sul pavimento, per rendere il visitatore parte integrante della mostra. E sebbene siano ancora i grandi musei tradizionali a richiamare milioni di spettatori – con il Louvre saldamente in testa nella classifica dei musei più visitati –, un domani le cose potrebbero cambiare. Tra gli esempi più recenti di musei che cavalcano questa tendenza, che si definiscono musei pur non essendolo, almeno in senso tradizionale, c’è il Mori Building Digital Art Museum di Tokyo, che aggiunge al nome anche la parola Borderless. I confini che questo museo intende abbattere sono di duplice natura: il primo fisico (non esiste un percorso di visita suggerito, libertà ai visitatori di visitarlo come meglio credono), il secondo concettuale (cambia la nozione d’arte, che travalica quella comunemente intesa per arrivare a far sua anche la luce – fondamentale per questo di Tokyo e per gli altri musei dello stesso tipo –, lo spazio e gli stessi visitatori). Le installazioni artistiche di luce e colori assurgono infatti a opere d’arte, acquistano tridimensionalità anche grazie all’intervento di chi le vede che, con la propria interazione, ne aumenta la dimensione artistica.

ideal - centre d’arts digitals a barcellona, dove fruire di contenuti audiovisivi con sistemi tecnologici all’avanguardia

Nell’installazione Bubble Universe, creata per la nuova sede di Azabudai Hills del Mori Building, una miriade di sfere generano infiniti giochi di luce, s’influenzano a vicenda, e quando qualcuno vi si approssima, quella più vicina reagisce trasmettendo una luce alle altre sfere. In questa interazione con l’individuo, c’è tutta la filosofia di teamLab: collettivo di artisti ideatore del Mori Building Digital Art Museum (e anche del teamLab Future Park di Okinawa e dell’UBS Digital Art Museum ad Amburgo, la cui apertura è prevista nel 2025), che per combattere la tendenza a dividere il mondo in tanti micromondi per renderlo comprensibile, propone relazioni tra le persone e tra queste e il mondo, abbattendo ogni barriera. Ecco un altro significato del termine borderless. Il concetto d’interattività è declinato nel Maat, Museo d’Arte, Architettura e Tecnologia di Lisbona, nel modo più pregnante possibile. I visitatori possono camminare anche sopra l’edificio (cioè sul tetto, grazie alla delicata ma allo stesso modo imponente struttura dell’edificio a forma di arco) e sotto, sul lungofiume, essendo il museo in riva al Tago, a Belém. Il tetto diventa una zona neutra, tra gli spazi interni del museo e gli esterni affacciati sul fiume. Il Maat entra in contatto con il fiume ed è collegato alla Central Tejo, una centrale elettrica del 1908, esempio di architettura industriale e perno della cittadella dell’arte e della cultura di cui fa parte lo stesso Maat.

il maat (museum of art, architecture and technology) di lisbona, aperto nel 2016.

L’interazione con il Tago avviene anche attraverso la luce – esaltata dal rivestimento in ceramica calçada del museo, cangiante secondo le varie ore del giorno – che si deposita sull’acqua. Il museo si pone anche come collegamento tra il lungofiume, per anni separato dal resto della città, con la parte antica di Lisbona sulla collina. Altro luogo diventato emblema della zona in cui ha sede, il già citato Ideal a Barcellona. Poblenou, quartiere della città catalana in cui esso si trova, da popolare che era, è diventato alla moda. Così come l’Ideal, che da cinema di un tempo offre ora mostre in 3D ed esperienze immersive ai visitatori, ed è anche centro di produzione artistica per lo sviluppo di nuovi linguaggi, e residenza per artisti. I suoi contenuti – audiovisivi, realtà virtuale e aumentata e olografia -, pionieristici in Spagna, mirano a creare una relazione nuova e più diretta con il pubblico e, quindi, con la società. La nuova mostra Jules Verne 200, per celebrare il bicentenario della nascita del grande esploratore e scrittore, catapulta il visitatore nel mondo dei viaggi dell’autore francese. La tecnologia dell’Ideal è stata adottata anche al Mad, acronimo di Madrid Artes Digitales, nato all’interno del Matadero, immenso centro artistico multidisciplinare nella zona sud di Madrid, nell’ex mattatoio e mercato del bestiame. Nell’edificio Nave 16 del Matadero, dov’è Mad, gli spazi espositivi votati alla realtà aumentata e virtuale trasformano la visita in un’esperienza immersiva a 360°. Dopo le immagini di Gustav Klimt e della Vienna della Secessione, proposte in concomitanza con l’inaugurazione del Mad, la nuova mostra immersiva, attraverso le proiezioni sui muri e pavimenti di Nave 16, è quella della sfortunata storia del Titanic. Estremizzazione del concetto di arte intesa in un’accezione larga, tale da includere la tecnologia audiovisiva più avanzata, è forse Amaze, ad Amsterdam. A idearlo è stata ID&T, azienda olandese leader nel settore dell’intrattenimento, famosa anche per l’organizzazione di grandi eventi di musica house e techno. L’universo di suoni, luci, musica e colori, immerso nel quale si trova chi entra nell’ex deposito in cui si trova Amaze – nei pressi del versante occidentale del porto di Amsterdam –, alimenta una nuova forma d’arte. Laddove il grado di realtà virtuale immersiva dipende dalla capacità di ciascuno di abbandonarsi a essa. La natura del luogo permette di ospitare eventi di ogni tipo e funziona anche, più semplicemente, da lounge in cui sorseggiare un drink. Si ritorna più sulla tradizione (intesa nel senso di musei veri e propri che espongono opere d’arte e sì, sono anche – ma non solo – interattivi), sulla costa della Norvegia del Sud, nella città portuale di Kristiansand. Qui, del neonato Kunstsilo (un centro d’arte multidisciplinare in un ex silo del grano) a imporsi è innanzitutto l’architettura, funzionalista e risalente al 1935, valorizzata nella sua purezza dal progetto di restauro firmato dagli spagnoli Mestres Wåge Arquitectes e MX_SI Architectural Studio, e dal contatto con l’acqua del fiordo su cui affaccia l’ex silo. Per la sua posizione, di fronte alla costa danese da un lato e a quella svedese dall’altro, Kunstsilo è un ideale punto d’incontro tra i Paesi scandinavi. E dei tre nuclei che ne costituiscono le collezioni, la più importante – la Tangen Collection –, mette insieme oltre 5 000 pezzi d’arte modernista, appartenenti a 300 artisti di Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda. Anche la Christianssands Picture Gallery, ospitata nel Kunstsilo, ha un respiro nordico, con 883 dipinti tra i quali alcuni di Edvard Munch. Con i suoi interni spaziosi ed essenziali, Kunstsilo si adatta anche a performance digitali e alla musica, concerti compresi.

il mad (madrid artes digitales), aperto nel 2022 nell’ex mattatoio della città.

m9 – museo del ’900, a mestre (venezia)

kunstsilo, un centro d’arte multidisciplinare in un ex silos a kristiansand (norvegia).

L’architettura fa da padrona anche nel caso dell’M9 – Museo del ’900, a Mestre. A dispetto della sua collocazione, a stretto contatto con le case in una zona in precedenza un po’ abbandonata del centro città, il museo è di ampio respiro. Come previsto nel progetto dello studio berlinese Sauerbruch Hutton, nel museo coesistono architetture preesistenti con quelle di nuova costruzione. Il recupero di un ex convento tardo cinquecentesco, la cui corte interna viene coperta diventando uno spazio pubblico, si integra con il nuovo costruito. Attraverso i rivestimenti esterni in ceramica, a richiamare i colori delle case vicine, il museo si integra nel paesaggio urbano. La modernità di M9 viene fuori non solo dall’uso di strumenti multimediali con i quali viene raccontato il Novecento – tema delle collezioni permanenti –, ma anche dall’impiego di sofisticate tecnologie per la produzione di energia pulita, che rendono il museo a basso impatto ambientale. È senza precedenti il coinvolgimento che assicura ai visitatori il Richard Gilder Center for Science, Education and Innovation di New York, nel nuovo padiglione del monumentale American Museum of Natural History di New York. L’architettura fortemente simbolica dell’edificio, con le sue linee sinuose e i grandi finestroni che sembrano profonde fenditure scavate nella pietra di granito rosa, oltre a ridisegnare l’urbanistica di un tratto di Columbus Avenue, non lontano da Central Park, richiama le forme naturali di grotte e canyon e la scienza, insieme di discipline in perenne evoluzione. L’andamento fluido delle linee architettoniche, evidente anche all’interno in cui non è stato adottato il rigido schema dei piani, racconta che tutte le vite sulla Terra sono interdipendenti. Tema illustrato anche dall’immersivo Invisible Worlds Theater. L’architettura che cita la natura s’impone anche nell’insettario, nella casa delle farfalle e nel modo di esporre i 3 000 e più reperti, che spaziano dalla zoologia alla paleontologia e all’archeologia. Perché alla fine, è sempre la natura a dover guidare le innovazioni.

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