Come gli Nft stanno rivoluzionando il mondo dell’arte
Per qualcuno significa vendere il nulla a peso d’oro. Secondo altri è la nuova frontiera dell’arte digitale. Fatto sta che gli Nft hanno spalancato più di uno scenario inedito sui rapporti tra opera, mercato, collezionisti e pubblico, facendo presagire una nuova rivoluzione nell’arte. L’acronimo Nft sta per “Non Fungible Token”, e indica una tecnologia legata alla blockchain e alle crypto-valute. Per dirla in breve, un token è una specie di gettone digitale nel quale sono registrate informazioni che rappresentano qualche forma di diritto, primo tra tutti la proprietà. “Non fungible”, invece, vuol dire che non può essere scambiato con altri token, dunque è unico e insostituibile. Certificare un’opera d’arte digitale come Nft significa perciò garantirne il legame con il proprietario, l’autenticità e l’irripetibilità. Il successo di questa tecnologia è esploso lo scorso 11 marzo, quando l’opera dal titolo Everydays: the first 5.000 days, certificata con Nft, è stata battuta da Christie’s per oltre 69 mln di dollari, trasformando il suo autore Mike Winkelmann, noto come Beeple, nel terzo artista vivente più pagato di sempre. Era la prima volta che un’opera di cosiddetta crypto-art passava dalla storica casa d’aste.
Everydays: the first 5000 days, di beeple, è stata battuta da christie’s oltre i 69 mln di $.
La blockchain per collezionisti è ormai la moda del momento
Anche i contenuti nati per Internet diventano “irripetibili”. L’artista Chris Torres ha preso l’originale della gif animata Nyan Cat (un gattino che vola lasciando una cometa arcobaleno, da dieci anni scaricabile gratis dal Web), l’ha “rimasterizzata” con Nft e l’ha venduta a 600 000 €; e Jack Dorsey, fondatore di Twitter, ha messo all’incanto il suo primo tweet del 2006, battuto a quasi tre milioni di dollari. Perché spendere una fortuna per acquistare un divano virtuale sul quale nessuno potrà mai sedersi o per comprare contenuti digitali che sono già alla portata di tutti? Rispondere che si tratta di pura speculazione è una tentazione molto forte, e senz’altro questo aspetto gioca un ruolo significativo nella corsa agli Nft. Ma la sola ragione economica non può spiegare l’intero fenomeno. Un collezionista non ragiona soltanto in termini di investimento e rendita. Possedere un oggetto significa per lui ridargli la vita. E il possesso è legato all’unicità in modo indissolubile. L’Nft trasforma ciò che può esistere in infinite copie in qualcosa di impossibile da copiare e dunque riprodurre. È in questo cortocircuito che risiede il successo dei Non-fungible token per i collezionisti. Il più citato tra i libri del filosofo Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, andrà quindi aggiornato con un altro capitolo sulla “irripetibilità digitale”. E questa nuova frontiera è solo la punta di un iceberg: la parte più esposta di un universo che comprende esperienze altrettanto “irripetibili”. L’Nft, infatti, non è un nuovo medium artistico, è semmai il suo contenitore. Ciò che conta è il contenuto, quell’anima tecnologica che s’aggira ormai da tempo tra le gallerie d’arte contemporanea e che si sta arricchendo di categorie come il “machine learning” e l’Intelligenza artificiale.
Le ultime tendenze in tema di Nft
A dare conto delle ultime tendenze in questa direzione è stata, per esempio, la mostra Re:Humanism – Re:define the Boundaries, dal 5 al 30 maggio al Maxxi di Roma. Curata da Daniela Cotimbo, la rassegna esponeva i 10 progetti finalisti della seconda edizione del Re:Humanism Art Prize, che attraverso una call for artist internazionale ha raccolto oltre duecento candidature da tutto il mondo per indagare le trasformazioni dei concetti di “corpo” e “identità” nell’era dell’Intelligenza Artificiale. Così, per esempio, il collettivo chiamato Numero Cromatico, composto di artisti visivi e ricercatori nell’ambito delle neuroscienze, presentava Epitaphs for the human artist, opera che riprende la forma letteraria dell’epitaffio per decretare la morte dell’artista umano. Grazie a un generatore di testi basato sulle reti neurali artificiali, progettato in collaborazione con l’Università di Verona, l’installazione è una lapide interattiva che pone lo spettatore di fronte a una serie infinita di epitaffi con cui la macchina commemora l’artista-uomo. Tra l’umano e i suoi limiti (o la sua fine) si muove anche l’installazione dell’artista Carola Bonfili: la sua opera prende la costruzione narrativa delle Metamorfosi di Ovidio per farla smembrare da un’Intelligenza Artificiale. Grazie agli algoritmi, produce una serie infinita di storie nuove destinate ad avere conseguenze sulla vita di un personaggio. Il risultato è una creatura artificiale che ha interiorizzato un repertorio di comportamenti umani e si interroga sul proprio essere nel mondo. Domandarsi “Che ci faccio qui?” e rispondere con linguaggi sempre nuovi è il compito che l’arte si è data da almeno un secolo. Il fatto che adesso sia l’Intelligenza Artificiale a porre interrogativi e dare risposte è una novità piuttosto recente. Nel 2018, un ritratto intitolato Edmond de Belamy veniva battuto da Christie’s per 432 500 €: era il primo quadro (bruttino, va detto) generato da un’Intelligenza artificiale, frutto di un progetto ideato dal collettivo artistico parigino Obvious. Il ritratto Edmond de Belamy è solo un esempio, ma esiste ormai un ricco filone di ricerca che si dedica all’arte in rapporto alle reti generative chiamate Gan (Generative Adversarial Network) e di cui ha dato conto anche la mostra del Maxxi di Roma. Tuttavia, al momento, non pare che gli artisti corrano un pericolo d’estinzione.
Grimes, warnymph collection vol.1 - newborn 4. la musicista ha venduto video come arte digitale nft per 6 mln di $.
«All’artista spetterà sempre la parte riflessiva e intenzionale dell’opera», commenta la critica d’arte e docente Angela Vettese, «la creazione di immagini con un senso, con una riflessione sul nostro tempo, con un’intenzione specifica riguardo a che cosa dovrebbe comunicare quell’opera, è legata alle qualità della mente umana. Non credo che un’Intelligenza artificiale potrà mai porsi con un approccio così critico». Se la vita dell’artista è assicurata, non è scontata invece la sopravvivenza dell’opera digitale. A rischio è infatti la possibilità di conservare materialmente ciò che non ha un supporto fisico. Angela Vettese fa l’esempio di Jodi, il duo di artisti nato nel 1994 e considerato tra i precursori della Web Art: «Le loro opere sono state realizzate quando i computer avevano lo sfondo nero con i caratteri verdi. Oggi si possono vedere soltanto su quel tipo di macchine, sempre ammesso che siano reperibili e possano ancora funzionare».
La chiusura dei musei per via del Covid ha dato una spinta all’arte digitale?
Che cosa sarà di Everydays: the first 5000 days del neo-milionario Beeple se il formato .jpg dovesse diventare obsoleto in futuro? «Ogni supporto tecnologico comporta il terrore che il file si danneggi, che non si possa riversare in nuovi formati leggibili, che possa sparire», commenta Vettese. Al di là dei recenti exploit degli Nft e delle suggestioni alla Blade Runner per certe opere che utilizzano l’Intelligenza artificiale, anche il mercato dell’arte, per ora, sembra essere più attento alla longevità dell’opera che non alla sua irripetibilità digitale: «Ci sono molte esperienze interessanti nell’arte che usa tecnologie sperimentali, come per esempio le opere dell’artista Hito Steyerl, dove aspetti digitali e materiali si uniscono. Ma per quanto notevoli siano queste espressioni, oggi assistiamo ancora al primato del quadro dipinto», dice Vettese. «La pittura è la più attraente e la più ambita dai collezionisti non soltanto per la sua maggiore accessibilità in termini di comprensione, ma soprattutto perché non rischia di svanire facilmente come invece possono fare le opere sperimentali. Non è un caso se nelle classifiche degli artisti più venduti, e anche dei più cari, ai primi posti ci sia sempre Gerhard Richter: un artista che, salvo eccezioni, utilizza quanto di più tradizionale ci sia in termini di tecnica». Le cose potrebbero cambiare. Secondo alcuni osservatori, la chiusura prolungata di musei e gallerie per la pandemia avrebbe fatto crescere l’interesse per l’arte digitale. Secondo altri, il fatto che quasi i due terzi dei partecipanti all’asta di Christie’s per l’opera di Beeple avessero meno di 25 anni farebbe presagire l’avvento di una nuova generazione di collezionisti: più inclini a investire in crypto-arte, più a loro agio in un mondo di transazioni immateriali, capaci in un futuro prossimo di destabilizzare il tradizionale mercato dell’arte. Di fronte a questi scenari, riecheggiano le parole di un altro grande critico: Jean Clair, conservatore generale emerito del Patrimonio artistico francese. “L’arte non produce idee, non transazioni elettroniche, non valori virtuali, ma oggetti materiali, fisici, sostanziali”, ammoniva già 10 anni fa, scagliandosi contro le bolle speculative. “E questi oggetti”, continuava, “non rientrano nell’ambito di un capitale intellettuale o cognitivo, ma di un capitale spirituale, termine desueto che non figura nel vocabolario dell’economia immateriale”. Oggi, nell’epoca degli Nft e della “irriproducibilità digitale”, le parole nostalgiche di Jean Clair ritornano attuali: ci ricordano almeno quale dovrebbe essere il primo valore “non fungible”, non scambiabile, dell’arte contemporanea.
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