Nel borgo toscano dov’è nato il metodo Rondine
Tutto nasce da una lite per il bucato. Il metodo educativo alla base della scuola Rondine ha origine nella lavanderia di un borgo medioevale perso nella campagna aretina. Alla fine degli Anni 90, il rettore dell’Università di Grozny (la capitale della Repubblica Cecena allora sotto attacco della Russia) chiede a Franco Vaccari di ospitare tre studenti nella località di Rondine, a una dozzina di chilometri da Arezzo, dove lo psicologo organizza campi estivi per ragazzi disabili. Vaccari, che qualche anno prima aveva già cercato di mediare (senza successo) il conflitto fra Mosca e Grozny, accetta la sfida a una condizione: che possa ospitare altrettanti studenti russi. L’idea è che, facendo convivere i “nemici” sotto lo stesso tetto, questi imparino a conoscersi e a risolvere pacificamente i loro conflitti. Nei primi giorni di convivenza, i due gruppi s’ignorano a vicenda. Ma appena i ceceni esauriscono la biancheria pulita, scoppia il pandemonio: si rifiutano categoricamente di lavare mutande e calzini nella stessa lavatrice dei compagni russi; volano parole grosse, minacciano di andarsene. «In fondo, non erano disposti a condividere la loro intimità», ricorda Vaccari, che oggi ha 72 anni e, oltre a dirigere la scuola di Rondine, insegna Psicologia dei conflitti alla Pontificia Università Lateranense. «Non è un caso che la lite vertesse su mutande e calzini, ovvero ciò che protegge le nostre parti più private e “sporche”, che spesso vorremmo nascondere. Invece sono proprio quelle parti che dovremmo riconoscere, in quanto appartengono a tutti e ci accomunano come esseri umani». La mediazione di Vaccari finisce con il ricomporre la situazione, convincendo i ceceni a restare. È la pietra fondante dello Studentato Internazionale dove è stato elaborato il metodo Rondine che, meno di 30 anni dopo, è diventato un percorso pedagogico strutturato e applicabile in contesti diversi, dalla scuola al mondo del lavoro. «Il conflitto è un dato di natura. Siamo tutti portatori sani di un “nemico” e, se non stiamo attenti, rischiamo di costruire relazioni malate. Bisogna imparare a non reprimere i conflitti, piuttosto a utilizzarli per crescere, trovando in essi le energie di sviluppo umano, spirituale e culturale».
I ragazzi di borgo rondine con franco vaccari
c’è anche una piccola scuola che ospita una trentina di liceali italiani venuti qui per frequentare il loro quarto anno.
Il borgo di Rondine, ribattezzato Cittadella della Pace, sorge su un poggio immerso in una foresta di querce a pochi passi dall’Arno. Oggi ospita una quindicina di coppie di laureati provenienti da zone in guerra o realtà post-belliche: Israele e Palestina, Ucraina e Russia, Georgia e Abkhazia, Bosnia Erzegovina, Armenia e Azerbaigian. Qui i giovani affrontano un percorso di due anni di formazione e convivenza con il “nemico”, frequentando un master nelle università vicine e imparando a smontare le ragioni dell’odio nella vita di tutti i giorni, anche grazie al supporto di uno staff formato da psicologi, sociologi, esperti di comunicazione, diplomazia, imprenditoria sociale e terzo settore. «Recentemente abbiamo fatto una festa e ho visto una compagna israeliana ballare con un palestinese», racconta Djordje, un 25enne serbo-bosniaco che vive nello Studentato da poco meno di un anno. «A Rondine si condivide tutto, s’impara a mettersi d’accordo partendo dal quotidiano. Perché anche nei grandi conflitti, la pace comincia sempre dalle piccole cose. Avevo già fatto corsi di peace building, ma qui è diverso: vivi la pace in prima persona, incontrandoti e scontrandoti pacificamente con gli altri». Cresciuto nella città di Bijeljina, in una zona della Bosnia a maggioranza serba, Djordje ammette che un tempo ignorava persino che i serbi avessero assediato e bombardato Sarajevo per quattro anni durante il conflitto esploso sulle ceneri della ex-Jugoslavia negli Anni 90. Oggi il “nemico” – un bosniaco musulmano arrivato nella Cittadella della Pace assieme a lui – è diventato il suo migliore amico. «Ovviamente ci sono cose su cui non siamo d’accordo. Per esempio, lui è molto religioso e io no», dice Djordje, «ma mi piace, perché con lui scopro punti di vista che altrimenti non sarei in grado di concepire». Ai piedi del borgo, a poche centinaia di metri dalla World House dove vive Djordje, otto anni fa è sorta una piccola scuola che ospita una trentina di studenti venuti, da licei sparsi per l’Italia, per frequentare a Rondine il quarto anno. Perché i principi del metodo affinato fra le vittime di guerra si adattano anche laddove non ci si affronta necessariamente con bombe e fucili. Nelle nostre società competitive e frenetiche, dove violenza psicologica e abusi verbali sono armi comuni, il conflitto relazionale è sempre in agguato. «Questa scuola insegna ad instaurare relazioni di fiducia con compagni e professori», dice Carolina, studentessa triestina al termine del suo quarto anno a Rondine. «L’anno prossimo mi mancherà».
il borgo di rondine, frazione del comune di arezzo: conosciuto come “cittadella della pace”, è sede dello studentato internazionale fondato da franco vaccari.
All’interno della struttura, al posto di aule tradizionali ci sono “ambienti” per crescere “consapevoli che la convivenza genera conflitti che si possono vivere con intelligenza nuova”, come recita una placca sulla soglia rimasta rigorosamente senza porta per volontà del fondatore. «La relazione comporta un continuo rischio d’invasione», spiega Vaccari. «Per evitare che un conflitto degeneri, devo rispettare la soglia dell’intimità altrui. Le porte segnano un confine netto che non mi aiuta in questo». Il percorso Rondine s’integra nell’organizzazione didattica senza stravolgerla, puntando sulle competenze trasversali. Nel descriverlo, Vaccari cita il metodo Montessori, di cui riconosce i meriti ma anche i limiti, perché «è come se facesse sparire il conflitto, mentre il mondo oggi è un casino. Per formare cittadini, occorre dare loro strumenti adatti a vivere in una società che è complessa, conflittuale e accelerata». Oltre alle materie curricolari dei licei classico, scientifico e umanistico, la sua scuola offre il cosiddetto Percorso Ulisse: tre moduli con un monte-ore dedicato alla conoscenza di se stessi (per mettere a fuoco i propri punti di fragilità e forza e la creatività nel trasformare i conflitti), del mondo intorno a noi (per approfondire l’etica, la cittadinanza attiva, la legalità, le questioni sociali e ambientali) e del nostro futuro (per sviluppare le vocazioni professionali anche in un’ottica di servizio e cura). Il metodo prevede anche la figura di un tutor, che funge da collante nei rapporti tra compagni e in quello fra docenti e studenti, aiuta a trasformare i momenti di tensione e stimola i giovani a lavorare insieme. A settembre dell’anno scorso, il Ministero dell’Educazione ha firmato un protocollo che dà la possibilità a qualsiasi istituto scolastico italiano di aprire una sezione sperimentale dedicata all’applicazione del metodo Rondine per un triennio o un quinquennio. «Se questo sistema entrasse stabilmente a scuola, le relazioni sarebbero più facili, istintive. Fenomeni come il bullismo sarebbero meno diffusi», assicura Alberto Belli Paci, che di Rondine è ormai un frequentatore abituale da quando la madre, Lilliana Segre, tenne qui la sua ultima lezione pubblica nel 2020. Allora, Segre fu invitata per celebrare l’apertura del cantiere di un’arena dedicata a Janine, una ragazza francese internata con lei ad Auschwitz. Oggi, suo figlio Alberto è tornato per l’inaugurazione ufficiale di questo spazio dedicato alla diffusione di messaggi di pace, che sarà aperto a un pubblico ampio, fatto non solo di studenti. Il metodo affinato nel borgo aretino, infatti, va al di là della pedagogia scolastica. Oltre a festival ed eventi che coinvolgono la comunità del territorio, l’associazione Rondine Cittadella della Pace che gestisce il programma educativo organizza corsi di formazione per docenti e seminari rivolti alle aziende, per lavorare sul conflitto interpersonale in ambito professionale, favorendo il benessere dei dipendenti e l’efficacia dei processi. Perché i conflitti sono ovunque, in famiglia, fra amici, sul lavoro. E imparare a migliorarne la gestione è sempre utile. «Spesso vengono qui manager e imprenditori convinti di non avere nemici», conclude Vaccari sorridendo, «poi escono con un nuovo paradigma di cosa significhi avere un conflitto e come risolverlo».