Né fiume, né mare: lì dove il Delta delPo trionfa
Lasciate perdere il weekend di “energy healing” e i leggings Lululemon: per ritrovare la pace e la connessione con la natura, non c’è nulla come un viaggio nel Delta del Po. Vi troverete immersi in un luogo a sé, dove il confine tra acqua, vapore e aria diventa inafferrabile. Un digradare tra terra ancestrale e distopico futuro, natura e intervento umano che ha pochi eguali al mondo. Chi ama Venezia non potrà che gioire di queste atmosfere e di questi colori all’apparenza così poco mediterranei, forse perché il Mare nostrum s’è perso mentre qui le cose stanno come stanno: cambiano continuamente per rimanere uguali. E tuttavia è meta poco battuta: «Un triangolo delle Bermuda vicino e accessibile ma fuori dal radar quando c’è da pianificare un viaggio», ci dice un operatore della zona, «eppure è molto più affascinante della Camargue».
La minaccia delle trivelle
Ambiente naturalmente artificiale e artificialmente naturale, il Delta è un territorio nato dall’unione di uomo e natura e ha infatti ottenuto nel 2015 dall’Unesco il riconoscimento di Riserva della Biosfera Mab, acronimo di Man and biosphere, a sottolineare questa armoniosa, ma anche dura e mai scontata coesistenza. Costantemente cangiante, è la terra più nuova d’Italia che ogni anno avanza nel mare Adriatico anche di 70 m. Gli uomini, va detto, ci sono anche andati con mano pesante, come quando tra il 1600 e il 1604 la Serenissima deviò il corso del Po, che minacciava con i suoi sedimenti il porto di Venezia, creando un canale che spostò la foce più a sud. In direzione, guarda caso, del rivale porto di Ferrara. La natura ha risposto con la devastante alluvione del 1951. La lotta dell’uomo contro il mare e la bonifica delle terre è testimoniata dalla trentina di idrovore che lavorano incessantemente, la sconfitta dai ruderi dei casoni abbandonati in mezzo all’acqua. Perché le cose non vanno sempre come dovrebbero e il Delta sprofonda. È il fenomeno della subsidenza, l’abbassamento progressivo del suolo rispetto al livello del mare, aggravato dalle estrazioni di metano avvenute dagli Anni 30 ai 60. E ora il Governo vuole riprendere a trivellare, a nove miglia dalla costa, incurante delle conseguenze, della storia e di questa grande bellezza.
Foto di P. Trapella. La celebre sacca degli scardovari.
Nascondiamoci nelle botti…
Chi entra in questo mondo nuovo impara subito che alcune parole comuni, qui, hanno un altro significato: le valli sono riserve di pesca, gli orti sono d’acqua e ci si allevano molluschi, le dune sono fossili e coperte di vegetazione, gli scanni sono isole di sabbia strette e lunghe affacciate sul mare aperto. E nelle botti non si fa il vino, ma si appostano i cacciatori in mezzo all’acqua per tirare sugli uccelli. La terra cambia con il tempo: il fiume, portando detriti al mare, forma lingue di sabbia che emergono come nuove linee di costa. Dietro di loro il mare, chiuso, diventa laguna, forma barene (terreni sommersi periodicamente) e velme (fondali che emergono in bassa marea). Le valli da pesca create dall’uomo saranno poi campi di riso e mais. È così da secoli, e così dovrebbe continuare a essere.
Nella nursery dei molluschi
In un territorio di 786 kmq solo nella parte veneta – di cui oltre 160 di valli e lagune –, le strade si snodano tra isole, canali e argini e, spesso, obbligano a lunghi giri per giungere alla meta. Sono decine gli itinerari possibili – quasi tutti circolari – da percorrere a piedi, in bicicletta o in barca o, ancor meglio, con un mix di mezzi, adattandosi al mutamento del territorio. Conformarsi, mai pretendere o forzare: un viaggio nel Po è anche in questo scuola di vita. L’Anello della Donzella è un percorso circolare di circa 60 km sull’isola della Donzella, la più grande del Delta con i suoi 10 000 ettari. Si parte da Porto Tolle verso la Sacca degli Scardovari, un’ansa in cui il mare Adriatico si incunea creando uno specchio dove acque salate e dolci si mescolano. È una nursery di eccellenze: la cozza Dop di Scardovari, la vongola verace e l’ostrica rosa del Delta del Po. Casotti a palafitte affacciati sull’acqua si susseguono lungo il perimetro. Al Secondario Scardovari nord-ovest, il silenzio è rotto dal battere ritmico sui tavoli di legno. Ragazzi in tuta impermeabile selezionano magnifiche ostriche rosa, dalla madreperla bianchissima con sfumature vermiglie. Alessio Greguoldo ci guida in barca a visitare l’allevamento spiegandoci come queste ostriche carnose, destinate all’alta ristorazione, nascono da un sistema ideato dal francese Florent Tarbouriech nel sud della Francia, a Thau, che simula l’andirivieni delle maree atlantiche. Le ostriche sono incollate su corde legate a un argano che le solleva e le immerge periodicamente in acqua. Il problema, ora, si chiama granchio blu, la cui proliferazione sta devastando e causando danni incalcolabili agli allevamenti di molluschi. Dal mare alla terra, alla Pileria Moretto scopriamo come si coltiva e si lavora il riso, attività tradizionale minacciata dall’avanzare delle acque salate ormai giunte a 15-20 km dalla foce, favorite dalla siccità e dalla minore portata di acque dolci dal fiume. Si passa poi su uno dei tre ponti di barche rimasti, il più lungo, in località Santa Giulia, che attraversa il ramo del Po di Gnocca. Tornando a nord, tappa fissa all’Apiario del Benessere, una casetta nel bosco tra le arnie dove rivivificarsi tra il ronzio delle api e il profumo dei favi. Il percorso termina al tramonto al Museo Regionale della Bonifica di Ca’ Vendramin, un’idrovora del 1903, gioiello di archeologia industriale testimone della conquista delle nuove terre del Po.
Foto: G. Dissette. I paesaggi attraversati dalla via delle valli nord, nel comune di Rosolina.
turisti in una postazione di birdwatching.
un esemplare di sgarza ciuffetto.
Sopra le dune fossili
Per una full immersion nella natura e nel birdwatching (impossibile non avvistare qualcuna delle 350 specie presenti) c’è la Via delle Valli. Si snoda tra le valli da pesca e la laguna e lungo il Po di Maistra, un tempo il principale, oggi braccio secondario del fiume ma il più inselvatichito e suggestivo, da percorrere in barca, nel chiassoso silenzio dei canti di aironi cinerini, garzette e nitticore, gruccioni e martin pescatori. Tra boschi di pioppi e salici e argini verdi di alberi che si piegano specchiandosi su un’acqua liscia come olio, ci si dirige alla garzaia di Cà Venier, il più grande sito di nidificazione di ardeidi del Parco del Delta. Verso il mare, in zona Pila fu girata la seconda parte del film La donna del fiume, drammone sentimentale del 1954 con Sophia Loren. Da rivedere per cogliere quanto dura fosse la vita di un tempo. Si continua in bicicletta lungo la panoramica Via delle Valli Nord, in cui guizzano cefali, orate, anguille e branzini, puntellate dai tradizionali casoni con i vistosi camini tra i quali sostano i fenicotteri rosa. Come doveva essere la costa adriatica prima dell’arrivo di stabilimenti balneari, beach party e happy hour lo si vede al Giardino Botanico Litoraneo di Porto Caleri, una sorta di viaggio del tempo geologico dove, lungo passerelle di legno e sentieri, si cammina sospesi sopra le dune fossili, antico confine tra la terra e il mare. Il percorso attraversa vari ambienti: dalla pineta di pini e lecci, abitata da picchi e upupe, alla macchia, dominata da ginepri e olivelli spinosi, agli stagni, alle zone salmastre fino alla spiaggia, un ecosistema a sé dove la gerarchia delle piante è regolata dalla distanza dal mare.
Le risaie nei pressi della foce del po di maistra, il suo “ramo” più selvaggio (si stacca alla sinistra del suo corso centrale, poco prima di ca’ venier).
Playlist molto green
Trivelle per l’estrazione del gas, granchi blu, risalita del cuneo salino, il delta è minacciato da più parti. «È un sistema fragile, il Po porta con sé tutto ciò che raccoglie lungo il corso: detriti, rami, sedimenti ma anche fertilizzanti e glifosati», ci dice Nicola Donà, la nostra guida ambientale. Lungo la spiaggia dello Scanno Cavallari, tra rami e conchiglie le onnipresenti chele di granchio di quel blu cielo intenso rivelano l’entità dell’invasione. Che oltre alla molluschicoltura mette in pericolo la biodiversità di questo angolo di Mediterraneo. Da visitare con una playlist “naturale” (ronzii, canti di uccelli, il fruscio delle canne e lo sciabordio delle barche a fondo piatto) e in punta di piedi, con rispetto. Il Delta farà il resto, portandovi per mano lungo i suoi orizzonti infiniti.