The Good Life Italia

Paolo Asti

Milano, affrettati lentamente

C’è chi lo definisce l’architetto “gentile”, perché predilige interventi discreti, con progetti che s’inseriscono rispettosamente nel loro contesto. In questo senso, Paolo Asti rispecchia appieno il carattere riservato e poco incline all’ostentazione della città di cui è figlio e che, forse più di qualsiasi altro architetto, ha contribuito a riqualificare negli ultimi 20 anni: Milano. Grazie a un’ottantina di progetti per rifunzionalizzare i grandi immobili cittadini, Asti è espressione del cambiamento che ha investito il capoluogo lombardo a partire dagli Anni 2000, dalle residenze agli uffici passando per gli ex poli industriali. La città aveva una pianta ancora monocentrica e un patrimonio di edifici sottovalutati e bisognosi di manutenzione.

il palazzo di via della moscova 33, noto come cortile della seta

Paolo Asti

l’installazione del designer argentino cristián mohaded, presentata l’anno scorso durante il fuorisalone

I gruppi immobiliari hanno fiutato l’affare. E Asti si è fatto interprete di questa volontà di rivalutare – e monetizzare – senza stravolgere. «Tratto i progetti come fossero vincolati dalla sovrintendenza anche quando non lo sono», sottolinea l’architetto 61enne, che dal padre Sergio – compasso d’oro per il design nel 1962 – ha ereditato l’attenzione all’innovazione nel rispetto delle forme. «Spesso demolire è più economico di mantenere, ma Milano non è una città per progetti straordinari, preferisco quelli che sussurrano la loro presenza e s’integrano senza imporsi». Questo si traduce nella valorizzazione di materiali tradizionali come il ceppo di Grè, pietra grigia con ciottoli che viene dalle cave della bergamasca. Proprio perché molto utilizzata in passato, oggi è difficile da reperire. Ma piuttosto che rinunciarvi, Asti preferisce usarne una versione sintetica. Preservare la continuità col passato non significa però fossilizzarsi. Mentre la Torre Velasca di cui cura la ristrutturazione è stata aggiornata senza toccarne l’estetica, la piazza circostante è stata ridefinita. «Ho cercato di creare un sagrato laico che offrisse un piedistallo degno della torre e ne aumentasse la permeabilità con l’esterno». Lo spazio sarà inoltre dotato di postazioni accessibili per lavorare all’aperto. «Negli ultimi anni Milano è stata il cantiere diffuso più grande d’Europa. Non ci sono città che si sono trasformate così tanto senza snaturarsi. Il risultato è stato un passaggio da città monocentrica a policentrica». Lo spostamento del baricentro dal perimetro intorno al Duomo è stato talmente incisivo da sollevare una nuova questione che potrebbe presto imporsi nel dibattito cittadino: come rivitalizzare il vecchio centro, oggi spopolato e poco attraente nelle ore notturne?

Paolo Asti

il restauro “rispettoso” della torre tirrena (eugenio ed ermenegildo soncini, 1955-1956).

Secondo Asti, «un ruolo importante potrebbero averlo i nuovi alberghi, più aperti all’esterno e polifunzionali rispetto a un tempo, e la rete di servizi per i turisti che si sta sviluppando». Anche qui un progresso senza operare strappi, come quello che l’architetto ha sempre auspicato per l’intera città, trovando il consenso dei grandi committenti, domestici e internazionali, con i quali ha lavorato fino a ora: «La mia è un’architettura al servizio del real estate ma, nel rispetto di tempi e costi, ho ampio spazio per stabilire le proposte di ristrutturazione e le soluzioni migliori per realizzarle». Anche gli immobiliaristi si sono dimostrati sensibili alla qualità dei suoi progetti: «Faccio un esempio: i gruppi francesi, che spesso tendono a industrializzare il processo di costruzione, accettano di spendere di più per abbellire le parti comuni delle residenze realizzate a Milano. Anche perché qui trovano maestranze eccezionali. Al di là del progetto, insomma, la qualità del prodotto italiano è ancora la più alta d’Europa».

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