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Rio de Janeiro

L’eterna meraviglia di Rio de Janeiro

Sono sette anni che non torno a Rio. Ora che la rivedo, mi domando come ho fatto a starle lontana. L’insenatura di Botafogo incornicia il Pão de Açúcar. I picchi dei Dois Irmãos chiosano l’arenile d’oro di Ipanema. E il Cristo Redentor abbraccia tutto, svettando dalla coltre verde di Tijuca, la foresta urbana più grande al mondo. Cidade Maravilhosa, città meravigliosa, non c’è che dire. Durante la mia assenza non è stata invasa da nuovi edifici griffati da archistar, d’ordinanza in ogni megalopoli. Il Museu de Arte do Rio di Bernardes e Jacobsen risale al 2013, il Museu do Amanhã di Santiago Calatrava al 2015, entrambi nati dal lifting per le Olimpiadi 2016. Questo non le ha impedito, nel 2020, di diventare la prima Capitale mondiale dell’architettura (alla faccia di Parigi, candidata pure lei). Motivazione: “Preservare il ricco patrimonio architettonico”. Nello stesso anno, qui si è tenuto il Congresso mondiale degli architetti. Nel sito dedicato all’evento (uia2020rio.archi), si giustifica la scelta della location: “Le innumerevoli condizioni d’inserimento costruttivo in una geografia così peculiare e capricciosa hanno prodotto tratti che sintetizzano innumerevoli percorsi dell’architettura del XXI secolo”. La sua qualità più espressiva, però, “risiede nella fruizione dello spazio pubblico. A partire dagli inizi del XX secolo, la città ha inglobato nella vita urbana le spiagge. Godendo di oltre 40 km di spiagge libere ha costruito uno stile di vita in cui l’interazione sociale è altamente espressa”. Nei miei giorni a Rio, la colonnina di mercurio segna 43,5 °C. I locali ci scherzano su: «Benvenuta a Hell de Janeiro, dove ci sono due stagioni: estate e inferno». E poi, armati di sedia pieghevole e ombrellone, se ne vanno al mare. Dall’Unesco, un altro primato: Rio, con i suoi panorami tra la montagna e l’oceano, è la prima città Patrimonio dell’Umanità come Paesaggio Culturale Urbano. Megalopoli in sinergia con gli elementi naturali. Per questi e altri motivi, non è certo un luogo cristallizzato nel tempo, anche senza mega-architetture nuove di zecca. Mi confronto sull’argomento con Carlo Ratti, architetto, ingegnere, professore al Politecnico di Milano e al Mit di Boston e curatore della prossima Biennale Architettura: «Vero, a prima vista Rio è cambiata poco. Forse in parte a causa della crisi economica che ha investito il Brasile negli ultimi dieci anni. Un altro motivo potrebbe essere l’inclusione della città nella lista Unesco: un grande onore che rende le procedure di approvazione di nuovi progetti più complesse. Azzardo un’ulteriore spiegazione: forse l’idea dell’immutabilità di Rio è una nostra illusione. In fondo, ci sono diversi nuovi interventi: il museo di Diller e Scofidio a Copacabana [inaugurerà nel 2025, ndr], gli hotel Emiliano (2017) e Fasano (2007)… Edifici ambiziosi ma che, a causa dell’impatto visivo del paesaggio, passano forse in secondo piano. Il panorama della Cidade Maravilhosa è così imponente che fagocita anche le architetture più ardite: rumore di fondo umano su un canovaccio naturale che non ha eguali».

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il tram (bondinho) che raggiunge santa teresa viaggiando sugli arcos da lapa.

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la scalinata selarón: 250 gradini decorati per una lunghezza di 125m.

Agricoltura e schiavitù

Se Gonçalo Coelho, esploratore portoghese, il primo gennaio del 1502 si fosse fermato a guardarlo bene, questo canovaccio, invece di buttarsi nella baia di Guanabara e scambiarla per un fiume, chissà come si chiamerebbe Rio de Janeiro. Tant’è che il colono ha sempre ragione, e “Fiume di Gennaio” sia. Gli abitanti della zona, i tupí, vedono i nuovi arrivati e, rassegnati, battezzano la zona kari oka, casa dell’uomo bianco. Il primo marzo del 1565, conficcando una palizzata ai piedi della montagna oggi nota come Pão de Açúcar, il capitano Estácio de Sá fonda São Sebastião do Rio de Janeiro. Una connotazione meno precaria si concretizza due anni dopo, quando l’insediamento trasloca sul Morro do Castelo, collina che sovrasta la zona adesso chiamata Centro.  Nel 1922, il sindaco Carlos Sampaio approfitterà della grande vetrina offerta dall’Esposizione internazionale per radere al suolo il Morro, facendo piazza pulita delle case popolari affastellate lì nel corso dei secoli, ma non anticipiamo i tempi. Dal ’600, attorno al Morro nascono piantagioni di caffè e zucchero, che vengono spediti in Europa. Ai fazendeiro tornano indietro dal Portogallo ricchezze immense e, dall’Africa, navi stipate di schiavi. Il Brasile ha il triste primato delle deportazioni: quattro milioni di persone, più di qualsiasi altro Paese. Alla metà del XVII secolo, il governatore Gomes Freire fa costruire i più importanti monumenti d’epoca coloniale sopravvissuti. Tipo il Convento di Santa Teresa, nel collinare quartiere omonimo, e i bianchi Arcos dell’acquedotto di Lapa. A parte ciò, quasi nulla delle ricchezze viene investito in opere pubbliche (si prediligono le spese militari).  Il 7 marzo 1808, il principe reggente del Portogallo, Dom João/Giovanni VI di Braganza, sbarca a Rio (ha lasciato l’Europa per problemi con Napoleone). In città non c’è nemmeno una cattedrale per ospitare la cerimonia di benvenuto. La Catedral Metropolitana – un cono di cemento alto 75 m, ibrido tra una piramide e un modulo lunare – verrà inaugurata nel 1979. L’arrivo del re consacra Rio capitale del Brasile. In più, Dom João prende una decisione epocale: apre ai natanti di ogni provenienza i porti del Paese, fino ad allora esclusivo appannaggio delle navi battenti bandiera portoghese. Venire a contatto con le mode del resto d’Europa su Rio ha un effetto deflagrante. Nondimeno, i visitatori stranieri scoprono la “città meravigliosa, ricca di mille suggestioni”, come sintetizza la già citata canzone. Nel corso del XIX secolo, con i prezzi dello zucchero alle stelle, Rio diventa sempre più ricca. Non resta che pavimentare strade e mettere i pedoni al sicuro sui marciapiedi. L’immobile che va di più, però, sono i magazzini per le merci affacciati sul porto. Con l’apertura del quale, arrivano per restare tedeschi, francesi, inglesi, austriaci, russi…

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il bairro di santa teresa, che si estende sulla collina

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il bairro del centro: un tempo zona della nobiltà cittadina, oggi è un quartiere alla moda.

Lo scettro a Brasilia

Morto Napoleone, Dom João se ne torna in Portogallo e lascia il figlio Pedro a occuparsi della colonia. Per tutta risposta, Pedro dichiara l’indipendenza e s’incorona Pietro I del Brasile. Nel 1831, abdica in favore del figlio, Pietro II. Nei 60 anni di regno di Dom Pedro II, la scena politica oscilla tra conservatori e no, quella sociale si anima con le rivolte degli schiavi e delle province indipendentiste, quella internazionale esplode in vari conflitti. Nel 1851, la schiavitù viene abolita. Colonna sonora della nuova era, le sonorità arrivate dall’Africa sulle quali mette radici il samba. Dom Pedro II non lascia architetture monumentali, ma contribuisce all’istituzione del parco di Tijuca. Il 15 novembre 1889, un colpo di Stato proclama la Repubblica e tronca il capitolo del Brasile imperiale. Nel frattempo, Francisco Pereira Passos, rampollo della Rio bene, studia ingegneria a Parigi e s’innamora della riforma urbana di Georges-Eugène Haussmann, primo cittadino della Ville Lumière. Quando torna a Rio nel 1902, ne diventa sindaco ed emula il francese. Abbatte gli edifici stipati di immigrati e ne fa costruire di nuovi. Gli sfrattati si spostano sulle pendici delle alture circostanti, seguendo l’esempio dei soldati ai quali era stata promesso un tozzo di terra come ricompensa per aver servito la Patria. La terra dovuta era rimasta una chimera e i reduci, nel 1897, se la prendono occupando una collina che chiamano Morro da Favela, in onore di una robusta pianta autoctona chiamata, appunto, favela. Se gli slum del resto del mondo sono confinati in zone periferiche, le favelas carioca sono – cito Carlo Ratti – «uniche al mondo. Insediamenti in posizioni spettacolari: pendii assolati con panorami mozzafiato». In sintesi, propaggini dei quartieri più eleganti, visto che ospitano chi, nelle case dei ricchi, lava, stira e cucina. Tornando a Pereira Passos, la sua fissa è dare a Rio la grandeur di Parigi. Ecco, allora, la maestosa avenida Atlântica, boulevard lungomare con le iconiche tessere di mosaico a onde bianche e nere disegnate da Burle Marx che costeggia la spiaggia di Copacabana. Sulla quale, nel 1923, spunta il Copacabana Palace. Grand’hotel dove, ancora oggi, si ritrova il jet set. Negli Anni 20 nascono anche le scuole di samba, protagoniste del Carnevale. Sul finir del decennio, Le Corbusier espone al gruppo dei nuovi architetti brasiliani – Oscar Niemeyer e Lúcio Costa, per dirne due – la città ideale. La sua visione non si concretizza in territorio carioca, ma rivive a oltre 1 000 km di distanza nel 1960, quando Niemeyer e Costa costruiscono Brasilia. Che, lo stesso anno, soffia il titolo di capitale a Rio. Tutti i carioca con cui ho parlato ancora rosicano.

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la cattedrale di san sebastiano del 1979.

Lo scettro a Brasilia

Morto Napoleone, Dom João se ne torna in Portogallo e lascia il figlio Pedro a occuparsi della colonia. Per tutta risposta, Pedro dichiara l’indipendenza e s’incorona Pietro I del Brasile. Nel 1831, abdica in favore del figlio, Pietro II. Nei 60 anni di regno di Dom Pedro II, la scena politica oscilla tra conservatori e no, quella sociale si anima con le rivolte degli schiavi e delle province indipendentiste, quella internazionale esplode in vari conflitti. Nel 1851, la schiavitù viene abolita. Colonna sonora della nuova era, le sonorità arrivate dall’Africa sulle quali mette radici il samba. Dom Pedro II non lascia architetture monumentali, ma contribuisce all’istituzione del parco di Tijuca. Il 15 novembre 1889, un colpo di Stato proclama la Repubblica e tronca il capitolo del Brasile imperiale. Nel frattempo, Francisco Pereira Passos, rampollo della Rio bene, studia ingegneria a Parigi e s’innamora della riforma urbana di Georges-Eugène Haussmann, primo cittadino della Ville Lumière. Quando torna a Rio nel 1902, ne diventa sindaco ed emula il francese. Abbatte gli edifici stipati di immigrati e ne fa costruire di nuovi. Gli sfrattati si spostano sulle pendici delle alture circostanti, seguendo l’esempio dei soldati ai quali era stata promesso un tozzo di terra come ricompensa per aver servito la Patria. La terra dovuta era rimasta una chimera e i reduci, nel 1897, se la prendono occupando una collina che chiamano Morro da Favela, in onore di una robusta pianta autoctona chiamata, appunto, favela. Se gli slum del resto del mondo sono confinati in zone periferiche, le favelas carioca sono – cito Carlo Ratti – «uniche al mondo. Insediamenti in posizioni spettacolari: pendii assolati con panorami mozzafiato». In sintesi, propaggini dei quartieri più eleganti, visto che ospitano chi, nelle case dei ricchi, lava, stira e cucina. Tornando a Pereira Passos, la sua fissa è dare a Rio la grandeur di Parigi. Ecco, allora, la maestosa avenida Atlântica, boulevard lungomare con le iconiche tessere di mosaico a onde bianche e nere disegnate da Burle Marx che costeggia la spiaggia di Copacabana. Sulla quale, nel 1923, spunta il Copacabana Palace. Grand’hotel dove, ancora oggi, si ritrova il jet set. Negli Anni 20 nascono anche le scuole di samba, protagoniste del Carnevale. Sul finir del decennio, Le Corbusier espone al gruppo dei nuovi architetti brasiliani – Oscar Niemeyer e Lúcio Costa, per dirne due – la città ideale. La sua visione non si concretizza in territorio carioca, ma rivive a oltre 1 000 km di distanza nel 1960, quando Niemeyer e Costa costruiscono Brasilia. Che, lo stesso anno, soffia il titolo di capitale a Rio. Tutti i carioca con cui ho parlato ancora rosicano.

largo de são francisco de paula (davanti all’omonima chiesa) durante il carnevale.

Lacerazioni metropolitane

Dal 1937 al 1985, il Brasile vive due dittature. Qui ci si consola con un nuovo genere musicale, la bossa nova. Dal 1980, Rio diventa il set delle produzioni di un genere che spopola ovunque, le telenovelas. Intanto, la situazione nelle favelas esplode. In vista dei Mondiali di Calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016 si procede con la “Pacificazione” grazie all’occupazione militare. Operazione che oggi si chiama “Città integrata” e promette di costruire infrastrutture, sovvenzionare progetti culturali e così via. Tobia Messa, nato in Piemonte nel 1990, vive e lavora nella favela di Chácara do Céu da nove anni. Gli chiedo come si trova: «È un borgo dove ci conosciamo tutti. Siamo sulle pendici della montagna dei Dois Irmãos, in mezzo alla foresta e a pochi metri dalle spiagge più famose. Non c’è il sovraffollamento che soffoca molte altre favelas». Alcune linee comuni, però, le traccia Theresa Williamson, urbanista e direttrice dell’Ong CatComm (catcomm.org). Theresa chiarisce subito il malinteso secondo il quale l’urbanistica informale non è pianificata: «Si pianifica di più quando si ha un reddito basso perché si deve far fruttare il proprio denaro!». Poi sfata un altro mito: «In favela i bambini giocano per strada perché non ci sono estranei né auto. Possono essere luoghi più sicuri, in barba all’assunto che sono pericolosi a causa dell’attività criminale che approfitta dell’incuria dello Stato. Infine, tutto ciò che si associa alla cultura di Rio proviene dalle favelas, dal carnevale alla capoeira…». Sembra un idillio. Chiedo a Theresa cosa non torna: «L’epoca della schiavitù ha generato una società con lacerazioni che permeano ogni cosa, anche lo sviluppo urbano. È molto difficile uscirne». A trovare una possibile soluzione concorre il progetto Favelas 4D del Mit Senseable City Lab (senseable.mit.edu/favelas). Cofondato e diretto da Carlo Ratti, ha come protagonista Rocinha, la favela più grande di Rio: «Applicare la tecnologia della scansione 3D per realizzare la prima mappatura di precisione del tessuto urbano complesso di Rocinha potrebbe garantire un migliore accesso ai servizi, facilitare la viabilità, creare piazze e luoghi pubblici. L’esperimento è in corso, se avrà successo potrebbe trattarsi dell’inizio della metropoli di domani. Ci suggerirebbe una strada per unire i due modi di costruire città che si fronteggiano da sempre: quello top-down, dall’alto, e quello bottom-up, dal basso. Entrambi si potrebbero incontrare sui pendii assolati di Rio, là dove cresce la pianta della favela».

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