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Viticoltura urbana

La viticoltura urbana sostenibile e inclusiva conquista le città

Si scrive Uva ma si legge Urban Vineyards Association (urbanvineyards.org), associazione nata nel 2019 per tutelare il patrimonio rurale, storico e paesaggistico rappresentato dalle vigne urbane e valorizzarlo sotto il profilo culturale e turistico, rendendolo produttivo nel rispetto dell’ambiente, attraverso politiche vitivinicole e sociali d’integrazione e sostenibilità. Perché una vigna non è sinonimo soltanto di dolce paesaggio collinare: può esserlo anche di città, quando un verde inaspettato fa capolino in una giungla di cemento, «trasformando i confini “della” città in orizzonti “nella” città», sottolinea il presidente Nicola Purrello. «Le vigne urbane sono questo: coltivazioni uniche di un’area metropolitana, patrimonio agricolo, storico e culturale di enorme valore, tesori di biodiversità». Le varietà antiche, infatti, spesso sono biotipi rarissimi propagati nei secoli senza mai essere sostituite con altre più produttive o apprezzate dai mercati, come è avvenuto per i vigneti extraurbani. Da qui l’esigenza di riunirle in una rete internazionale che possa farsi promotrice di progetti di recupero e di azioni di valorizzazione e che ora vanta la Giornata Mondiale dei Vigneti Urbani (la prima edizione si è tenuta il 27 ottobre 2024). «Un contributo semplice ma significativo per la città, come lo è il vino per la tavola», continua Purrello. «Spesso veniamo visti come innovatori, visionari e futuristi, ma in realtà stiamo riciclando il modello che l’uomo ha sempre seguito, perché la possibilità di allontanare l’agricoltura dalle città è recente, dovuta alla logistica».

Viticoltura urbana

la vigna della regina di torino: sullo sfondo, svetta la mole antonelliana.

Al momento sono 21 le vigne urbane associate e dislocate in tutto il mondo: dalle quattro di Venezia a quelle di Bergamo, Milano, Torino, Firenze, Catania e Palermo, fino a quelle di Barcellona, Lisbona, Salonicco, Parigi, Lione, Avignone, Londra, Vienna, Los Angeles, Melbourne e Brasilia. Il board di Uva, però, ha messo a punto anche un importante lavoro di ricerca e censimento che sfocerà in una pubblicazione: «Siamo arrivati a censire più di 80 vigne urbane nel mondo, anche nei posti più impensabili, come Taiwan, Tokyo, Santiago del Cile e Città del Capo», specifica Purrello. «In definitiva si può affermare che esiste almeno una vigna urbana in ogni Paese in cui si pratica la viticultura». Tutte sono testimoni di storie affascinanti e di un grande impegno collettivo, alcune anche con interessanti risvolti sociali. È un esempio la Vigna Comunale di Salonicco, in Grecia: si tratta di un caso riuscito di rigenerazione urbana in cui un terreno di due acri del Comune, adibito a parcheggio per la nettezza urbana e molto degradato, è stato convertito in vigna dal sindaco e messo a disposizione dei cittadini che, insieme a volontari, se ne prendono cura dal 2013. Ora la vigna è un luogo di ritrovo, dove si balla, si gioca a carte tra i filari e si coltivano orti. Il vino prodotto viene utilizzato in cene sociali e aste benefiche, il cui ricavato viene devoluto in beneficenza. Merita di essere segnalata anche la vigna di Parigi, simbolo di una tradizione vinicola ancestrale risalente all’epoca gallo-romana che ebbe il suo apogeo verso la fine del XVIII secolo, nata nel 1933 grazie allo straordinario progetto di associazioni locali impegnate nella salvaguardia del terreno urbano, Clos Montmartre – questo il nome – è situata sul pendio di Montmartre nel 18° arrondissement ed è di proprietà della città; all’inizio la produzione di vino era riservata al consumo locale, adesso invece il vino prodotto è messo all’asta e i proventi sono destinati alle opere sociali dell’Associazione di Montmartre.

venezia, sestiere castello, le viti presso la chiesa di san francesco alla vigna

viticoltura urbana

can calopa de dalt, a barcellona, è gestita dalla cooperativa l’olivera.

Altri casi lodevoli sono quelli di Barcellona e di Londra. Can Calopa de Dalt rappresenta l’ultima traccia della cultura del vino della metropoli spagnola e – gestita dalla cooperativa sociale L’Olivera – è in prima fila per la promozione di un sistema di alimentazione e di produzione agricola migliore, a favore di un turismo sostenibile e dell’economia locale, che incoraggia la diversità, l’inclusione e le pari opportunità. A Londra, invece, la Vigna di Forty Hall è una pionieristica impresa sociale curata da una comunità di volontari locali, per i quali il vigneto rappresenta un rifugio dai ritmi stressanti della vita quotidiana. I vini certificati biologici prodotti dalle uve includono il London Brut, realizzato secondo il Metodo Tradizionale, proprio come lo champagne. Tutti i ricavi delle vendite di vino, dei tour e di altri eventi vengono reinvestiti per sostenere il progetto, soprattutto in termini di attività per la cura della salute mentale. Molte delle realtà, anche quelle che producono vino, non hanno fini commerciali, ma più che altro culturali, divulgativi o che puntano a preservare la produttività della vigna stessa; i numeri inoltre non sono mai alti e in alcuni casi permettono solo di ottenere bottiglie da collezione. Ma un giorno magari, come piace immaginare a Purrello, in un’enoteca o in un ristorante, accanto alle selezioni di vini vulcanici e a quelli di alta quota, potrà essere proposto un verticale di vini urbani. Allora un sogno sarà diventato finalmente realtà.

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