La scena culinaria alternativa di Berlino
Azzardiamo una microstoria – soggettiva, paradossale – degli ultimi dieci anni culinari. È esplosa ancor prima che i critici targati Michelin, i World’s 50 Best Restaurants o i “foodisti” senza frontiere si infatuassero della cosiddetta Neue Köche tedesca. Le tappe della sua fondazione non sono da cercare nelle guide o dietro i fornelli, piuttosto negli uffici di un agitatore culturale: Christof Ellinghaus, dal 1990 alla guida di City Slang, una delle etichette di punta nella scena musicale indipendente europea. Gentleman impassibile, Ellinghaus ama andare dritto al punto «Berlino? Città festaiola, più celebre per i suoi club (il Berghain, il Tresor…) che per i suoi ristoranti. Accade più spesso che un berlinese vada a ballare in un club il venerdì sera (per riemergere tre giorni dopo, il lunedì mattina, appena in tempo per fare una doccia, bere un caffè e correre al lavoro) piuttosto che trascorrere tre ore della sua vita a tavola», dice con un sorriso ironico. «Solo dieci anni fa era una mission impossible bere un bicchiere. Dopo i concerti, con i miei artisti (Caribou, Calexico, Tindersticks, Efterklang o Notwist) restavamo a bocca asciutta. Allora, siccome l’enoteca dei nostri sogni non esisteva, l’abbiamo dovuta inventare». Benvenuti dunque al Cordobar, indirizzo diventato leggendario sin dal primo giorno di apertura, nella primavera del 2013. In un’epoca pre-Instagram, in cui solo Facebook batteva il tamburo, «un amico aveva scoperto che il figlio del grande chef austriaco Markus Mraz, Emmanuel, pittore e sommelier, aveva appena annunciato su Internet che voleva emigrare a Berlino per vivere come un bohémien. Subito dopo, il fratello più giovane – Lukas, cuoco – aveva risposto: “Anche io voglio venire a Berlino”. E così lo abbiamo contattato. Non sapevamo niente della ristorazione né della cucina, e gli abbiamo dato carta bianca. “Posso fare davvero quello che voglio?” ci chiedeva di continuo Lukas: non ci poteva credere». E neppure i berlinesi, che hanno preso d’assalto questo avamposto dei vini naturali, scatenandosi ogni sera in modalità rave. Con Mraz che carbura a pieno regime fino alle ore piccole, sfornando tapas improvvisate e specialità da condividere. Un’oasi di creatività, del mai visto in una città che fino ad allora era stata impermeabile alle novità più sfacciate. Per cinque anni felice vittima del suo successo, allargando sempre più la provenienza dei vini e gonfiando di sera in sera il suo carnet di clienti abituali («Con la polizia compresa nell’elenco, dato che almeno una volta alla settimana arrivava per supplicarci di smettere…»), il Cordobar stravolge definitivamente le regole del gioco. Aspettate, non cercatelo più nell’elenco: il Cordobar si è ormai sobriamente ribattezzato Cordo. «Lukas è rientrato a Vienna appena prima della pandemia per riprendere le redini del ristorante familiare due volte stellato. Bisognava fare delle modifiche radicali», racconta Ellinghaus. Missione riuscita. Il Cordo si è reinventato brillantemente grazie al riconosciuto talento di Yannic Stockhausen, giovane chef formato da Sven Elverfeld, il grande cuoco del tre volte stellato Aqua, integrando il cerchio ristretto del fine dining berlinese. Sempre sulla cresta dell’onda, ma accessibile a tutti. Menu di terra e di mare, e quello a base di verdura e “locale” anzitutto, abbinati con il top delle bottiglie locali e internazionali. Insalata baltica di zucchine e maionese in tostada croquante come a Cancún, salmerino alpino marinato all’acqua di mare, rafano, aneto e spaghetti di cetriolo tagliati spessi («come si fa nel nord della Germania», precisa Stockhausen, nativo di Amburgo). Oppure broccoli, mandorle e cipolle in sottaceto al burro bianco abbinati a un vinoso PetNat Weingut Patke 2021, uno dei migliori frizzanti naturali in Germania, oppure a un nettare georgiano, vino arancio macerato in un’anfora “firmato” da Archil Guniava, perla rara di Imereti, nella zona ovest del Paese tra Europa e Asia. Non si rischia di morire di sete: «Domani, alle 13, vuoi venire da Cordo? Ci sono 70 bottiglie di vino da provare, preselezionate per scovare l’accordo perfetto con i nuovi piatti del prossimo menu di primavera. Sei dei nostri?».
caffè, ristorante, enoteca: è julius, con menu stagionali che cambiano ogni settimana.
il ristorante cordo, una stella michelin: lo chef yannic stockhausens al lavoro
Vista sui fornelli
Il vino scorre a fiumi da Ernst. Ma attenzione! Non c’è bisogno di chiedere. Alla tavola del canadese Dylan Watson-Brawn, 30 anni quest’anno, tutto è fatto al contrario. Niente carta, niente menu officiale, niente lista dei vini. Otto coperti, non uno di più, e due turni per sera – alle 18 e alle 21.15 – per un’esperienza al bancone su misura, che ha quasi il sapore di un rituale e che richiede la vostra attenzione incondizionata. «Ernst per me è un tempio. Non si viene qui per fare due chiacchiere o solo per passare un momento piacevole. Se si vuole socializzare, c’è Julius proprio di fronte, il nostro bistrot, la cui offerta cambia nel corso della giornata, dalla colazione al menu della sera». Da Ernst, una quarantina di piccoli piatti sono preparati sotto i vostri occhi da quattro cuochi come in un omakase giapponese. Economia dei gesti, nitidezza chirurgica del gusto. Al casting: verdure tedesche e zuppa giapponese. Bok choy e seppie, fegato di rana pescatrice con kumquat o granchio con miso bianco e lardo: tre ore di degustazione che hanno del sublime, per una partitura rinnovata ogni sera. E innaffiata da quattro e cinque bottiglie allineate sul bancone. Abbiamo visto passare nei nostri bicchieri, tra Riesling tedeschi e Pinot neri austriaci, il Gamay granitico di Aurélien Lefort e un vecchio millesimato Radikon, fiore all’occhiello dei vini friulani.
ernst si ispira alla cucina giapponese: un’esperienza per otto clienti alla volta.
ernst si ispira alla cucina giapponese: un’esperienza per otto clienti alla volta.
Se la ristorazione è politica
Il vantaggio di cenare da Ernst come le galline alle 18 e di uscire, quando scatta il secondo turno, alle 21 in punto è che si può passare il dopocena in un altro posto. Si può fare baldoria da Jaja, enoteca con cucina (carpa, pancetta, cavolo, burro di coriandolo e sottaceti di jalapeño) in cui i rossi borgognoni di Claire Naudin (le Cuvée Orchis Mascula e Myosotis Arvensis) fanno di più, per suggellare l’amicizia franco-tedesca, di tutti i vertici politici a Bruxelles. In materia di anti-diplomazia, proprio a due passi da quel Checkpoint Charlie che un tempo segnava il confine tra Est e Ovest, Billy Wagner mette tutti d’accordo. Un giorno o l’altro ce le ritroveremo sulla copertina delle riviste: non è forse il proprietario e maître à penser e decantatore di Nobelhart & Schmutzig, primo ristorante tedesco nella lista dei World’s 50 Best Restaurants? Un luogo in cui è vietato postare foto o video, dare ai clienti la possibilità di vivere senza distrazioni e con gli altri commensali l’esperienza culinaria Da quanto tempo non si sentiva in un ristorante stellato i tamburi del primo movimento della colonna sonora di Peter Gabriel per L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese? Quando non è impegnato a stappare bottiglie o a sciorinare non stop il suo inenarrabile flow (Billy è più prolisso del più celebre Richard, il compositore), Wagner si occupa dei piatti. Che troneggiano ovunque a fianco delle bottiglie. «Un ristorante è uno spazio per vivere, uno stato d’animo. La musica, i vini, la convivialità, la cucina etica di Micha Schäfer che utilizza unicamente i prodotti provenienti dalle colture bio della regione berlinese… Nobelhart è un progetto che, come dire, ai nostri occhi è di natura politica e che chiamiamo “brutal local”». D’altronde, il suo Nobelhart & Schmutzig – giocando con le parole che ne compongono il nome, “cuore nobile” e “sudicio” in senso lato – non rispecchia l’irriverente ragazzaccio” che ne è a capo? Tutto assomiglia in modo impressionante al nuovo volto di Berlino e alla sua inedita essenza, fatta di divertimento, fooding ecosostenibile e tanti vini naturali.