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Città del messico

La forza creativa ed economica che muove Città del Messico

Se non ti muovi tu per primo, sarà lei a scuoterti: Città del Messico, sismica e tumultuosa, trascina gli stranieri nel turbine formato dai suoi abitanti, i chilangos. In qualsiasi angolo di strada, in ogni stand di tacos, tra le righe delle mille storie raccontate dai suoi innumerevoli musei, attraverso l’insistenza cortese dei suoi commercianti, nomadi come sedentari… Ciudad de México vibra al ritmo della spinta creativa ed economica della sua popolazione, che va e viene senza sosta e con tutti i mezzi possibili. Lasciandosi alle spalle le code labirintiche dell’aeroporto Benito-Juárez – quasi due ore per uscirne –, il visitatore sceglierà di immergersi viziosamente in un’altra infrastruttura rappresa dal tempo. Le insegne della metropolitana non sono cambiate dalla sua inaugurazione, 55 anni fa. L’estetica rétro che emana è accresciuta dai tornelli. I biglietti a corsa singola non sempre funzionano, il viaggiatore è spesso invitato a stracciarlo e a gettarlo in un cestino di plastica, sotto lo sguardo distratto di un controllore. Il tutto facendosi largo tra immensi sacchi di chicharrones croccanti e altre chips offerte dai venditori ambulanti. In superficie si dispiega lo stile di una città dove passato e modernità non cessano di confrontarsi, per poi confondersi. Città tentacolare, composta da 16 alcaldías (comuni), la capitale messicana si è costituita in Distrito Federal 200 anni fa, prima di cambiare statuto amministrativo per diventare, nel 2016, Ciudad de México, abbreviato in Cdmx. Forte di più di 33 000 hotspot Wi-Fi, la metropoli è orgogliosa della sua ottima connettività. Per quanto riguarda gli altri servizi, di contro, mancano sempre a una parte della popolazione. Lo testimoniano le file di manifestanti che ostacolano la circolazione più volte a settimana nei dintorni del Parco Alameda e di Eje Central, il grande viale che costeggia il sontuoso Palazzo delle Belle Arti. Il centro storico è ricco di edifici di valore di cui alcuni, come il Centro Cultural El Rule, sono stati recentemente oggetto di investimenti da parte dell’uomo più ricco del Paese, Carlos Slim. È ai piedi di El Rule che inizia viale Madero, pedonale e commerciale, in cui coesistono i negozi compro&vendo oro, le vetrine che esibiscono abiti fuori moda e, ovviamente, le immancabili catene mondiali del fast food. La più famosa ha apposto questa frase sotto il suo logo giallo su fondo rosso, quasi in segno di riconoscenza: «México me encanta» (Adoro il Messico). Indipendentemente dalle dimensioni e dai prodotti trattati, ogni impresa, nazionale o internazionale, è invitata a formulare la propria visione del sincretismo messicano. Del resto, qui ogni cosa invita alla mescolanza.

la città vista dal castello di chapultepec, sulla sommità dell’omonimo monte.

Lo storico Enrique Ortiz, in uno dei caffè-ristoranti di riferimento del quartiere, specializzato nella cucina della regione di Veracruz, inizia col dire che «contrariamente a quanto si è verificato nella maggior parte delle capitali europee o americane, che sono state date in pasto al turismo, qui il centro non ha mai smesso di essere il cuore commerciale della città. È difficile erodere l’animo messicano. Le tradizioni resistono in tutti i settori dell’economia, specialmente la gastronomia e il commercio». Per sostenere la sua argomentazione, quello che si descrive come un «hard user» del cuore storico cittadino ci conduce per le strade di La Merced, appena dietro lo Zócalo (Plaza de la Constitución), attuale residenza del popolarissimo presidente Andrés Manuel López Obrador (Amlo). All’epoca della città preispanica di Tenochtitlán, i tianguis – i mercati tradizionali – brulicavano. Con la conquista della città da parte di Hernán Cortés, nel 1521, il quartiere, divenuto La Merced, conserva il suo status di centro nevralgico della città. Di fatto, ospiterà il principale mercato all’ingrosso, fino all’apertura del Central de Abasto, nel 1982. A due passi dallo “zoccolo” (zócalo) della nazione, piccole attività commerciali vendono beni primari a prezzi che spazzano via ogni concorrenza. L’edificio, vecchio di più di tre secoli, è patrimonio della città. Non sembra però essere oggetto di una politica di riqualificazione. Nessun turista si aggira all’angolo tra le vie Moneda e Jesús María, dove una statua della Santa Muerte (la patrona degli indigenti e dei briganti) sembra puntare il dito verso l’entrata di una delle più vecchie cantiñas della città, la Potosina. Il rivoluzionario Emiliano Zapata avrebbe mandato giù tequila a questo bancone, così come Diego Rivera, Fidel Castro o ancora Ernesto «Che» Guevara.

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il palacio de bellas artes: due musei e la sala da concerto più grande del paese. è stato inaugurato il 29 novembre 1934.

«In Città del Messico, il commercio è spesso un affare di famiglia», ci aveva avvisati Ortiz di fronte all’immagine di due giovani che erano nel pieno di una conversazione sul prezzo del pollo, piazzati davanti a una vecchia signora occupata a fare la contabilità del suo negozio sull’imponente scatolone di un elettrodomestico. Questa intuizione viene confermata dal Segretariato per lo sviluppo economico (Sedeco) del governo di Cdmx. Il segretario, Fadlala Akabani Hneide, allineato politicamente con il presidente Amlo, è il fiero discendente di una famiglia di commercianti siriani che hanno costruito un piccolo impero nel settore della vendita di mobili e arredamenti. Chi meglio di un (figlio di) commerciante per accompagnare le piccole e medie imprese? «La nostra missione principale consiste nel formalizzare l’attività di numerose imprese e supportarle nel loro lavoro», riassume. «È per questa ragione che abbiamo messo a punto una procedura semplificata e un percorso di assistenza sulle piattaforme online». Prima di salutarci, il funzionario aggiunge due parole sulla posizione del governo nazionale – che caldeggia – nel contesto geopolitco mondiale. La recente crescita di investimenti cinesi avrebbe suscitato l’ira degli Stati Uniti: poco male per il Messico, che oggi sembra farsi ispirare da un approccio pragmatico. Insomma, bisogna farsene una ragione. Secondo la testata El Economista, gli investimenti di Pechino sarebbero aumentati del 48% dal 2021 al 2022. Al tempo stesso, alcune città come Monterrey e Guadalajara beneficiano della febbre del nearshoring (ricollocamento delle attività aziendali in un Paese limitrofo a quello di origine) che ha portato le più grandi imprese americane a insediarsi qui. Secondo l’economista Samuel Maldonado Zavala, «Città del Messico resterà il centro finanziario del Paese». È sicuro, «nessun’altra città messicana può concorrere a quel livello», prosegue il consulente finanziario: «È qui che si trovano le principali banche, oltre che, ovviamente, le sedi dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Un’impresa che opta per il nearshoring a Guadalajara dovrà quanto meno essere presente a Città del Messico». Centralità, pragmatismo e flessibilità sembrano esser stati il leitmotif di Cdmx, che ha fatto fronte alla pandemia di Covid-19 nel modo più “liberale” che ci sia, stando alle parole di Maldonado Zavala: «Qui, ciascuno è libero di fare ciò che vuole. È lo stesso per gli stranieri, che sono stati accolti con la tolleranza che ci caratterizza». Una scommessa vinta, se si guarda all’afflusso di stranieri, turisti e nomadi digitali che sono venuti con il loro portatile a riempire i tavolini all’aperto dei locali nei quartieri (colonias) alla moda di La Roma e Condesa. Messico magico! A fronte delle misure restrittive dei loro Paesi, migliaia di giovani europei, nordamericani e latini hanno posato le loro valigie in città. Volatilizzata la nomea di capitale pericolosa di uno Stato pericoloso. La cronaca nera legata ai crimini – costanti – perpetrati nei quattro angoli del Paese, è confinata sulle prime pagine dei giornali, appesi con mollette per la biancheria sugli scaffali dei chioschi. A tal proposito, lo scrittore messicano Juan Villoro cita William Burroughs, che avrebbe rassicurato Jack Kerouac con queste parole: “Non preoccuparti, i messicani uccidono solo i loro amici!”.

vie alberate, boutique e locali: colonia condesa, quartiere centrale della città.

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Elena Reygadas, miglior chef 2023 - World’s 50 Best Restaurants.

la central de abasto, indicato come il più grande mercato del mondo.

Città del Messico tra vulcani e terremoti

Uno dei dirigenti d’impresa che ha saputo trarre profitto dal dinamismo virtuoso della città è una donna: Elena Reygadas. Eletta migliore chef del mondo nel 2023, esalta la gastronomia messicana dai fornelli di Rosetta, il suo primo ristorante, incastonato in una sontuosa dimora porfiriana di via Colima (La Roma). Secondo lei, è a tavola che i suoi compatrioti esprimono l’animo messicano più autentico. «Definire il nostro spirito? Non si scherza, è un argomento serio! Posso dire che la gastronomia nazionale mescola il passato e il presente. Incorpora ingredienti provenienti da differenti culture e influenze, dalle epoche preispaniche più lontane fino ai contributi delle migrazioni più recenti». Oggi più che decisa a sfruttare il suo successo, il suo momento, Città del Messico, però, non abbassa la guardia. Sa di essere esposta a numerosi rischi, legati agli elementi che la circondano. La prossimità con numerosi vulcani, a cominciare da Popocatépetl, pesa come una minaccia permanente per una città costruita al di sopra di un grande lago in secca. Messico magico, tragico! Da vero chilango, Gustavo Román possiede solide nozioni di geologia e di storia locali. Con dieci anni passati nella Colonia Roma e otto, in precedenza, in quella di Condesa, è già sopravvissuto a numerosi scosse telluriche. «La Roma è un quartiere molto antico, ma le popolazioni più ricche gli hanno voltato le spalle a causa del rischio sismico», ci spiega. Gustavo lavora come responsabile dei partenariati mondiali di KidZania, catena internazionale di parchi di attrazione per bambini. «È così che sono nati i quartieri di Polanco o, più recentemente, quello di Lomas Altas, tutti e due sulle alture. Qui, quando piove forte, accade che l’acqua sgorghi dalle case. Da Roma allo Zócalo, viviamo su un suolo instabile!» I chilangos d’adozione non sapranno cosa farsene di questi avvertimenti. Ormai sono convinti: «L’unica cosa che si rischia a Città del Messico è di volerci restare».

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