La Biennale di Architettura 2023 è il laboratorio del futuro
Una serie di domande sui bisogni dell’umanità, sul cambiamento climatico, sul ruolo delle narrazioni che finora sono state tenute ai margini del discorso ufficiale. La Biennale di Architettura diretta da Lesley Lokko, presentata a Venezia nei giorni scorsi e aperta al pubblico da sabato 20 maggio a domenica 26 novembre, ai Giardini, all’Arsenale e a Forte Marghera, si focalizzerà sull’Africa, ma anche sul tema dell’immaginazione, vista come condizione indispensabile perché «il laboratorio del futuro» (questo il titolo scelto per la 18esima edizione dall’architetto ghanese-scozzese) possa diventare realtà. Una mostra internazionale con 89 partecipanti, la metà provenienti dall’Africa o dalla sua diaspora e con un’età media di 43 anni, che parte dall’esperienza del continente come avanguardia delle problematiche sociali e culturali che stanno raggiungendo ora l’Occidente, ma, al tempo stesso, vuole creare un nuovo laboratorio di possibilità, anche per rinnovare l’idea di architettura. Dice Lokko: «Spesso si definisce la cultura come il complesso delle storie che raccontiamo a noi stessi, su noi stessi. Sebbene sia vero, ciò che sfugge a questa affermazione è la consapevolezza di chi rappresenti il “noi” in questione. Nell’architettura in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità, dal punto di vista finanziario, creativo e concettuale, come se si ascoltasse e si parlasse in un’unica lingua. La “storia” dell’architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta». Ecco l’idea, per la Biennale 2023: quella di dare spazio alle storie ignorate, per completare il quadro e allargare il respiro della disciplina. Completamento che riguarda anche il percorso intrapreso dall’istituzione veneziana da anni, partendo dall’intuizione di Paolo Baratta di fare della Biennale una «macchina in grado di stimolare il desiderio di architettura» e capace di agire «come strumento della vita sociale e politica». Succede ormai da tre biennali Architettura, e con Lesley Lokko si punta a fare un ulteriore passo avanti, intorno a parole chiave come decolonizzazione e decarbonizzazione. Questa tribuna offerta a voci trascurate, per il presidente Roberto Cicutto, è «il vero compito della Biennale di Venezia come istituzione, e non solo per quanto riguarda l’architettura». Un compito tanto sentito da portare anche a decostruire lo stesso termine «architetto», per puntare su un più concreto aspetto di «practioner», ossia di qualcuno in grado di agire realmente sulla società. La sfida della mostra di Lesley Lokko sembra essere proprio quella di trasferire queste idee così ibride nel formato espositivo tradizionale della Biennale Architettura. Che per la prima volta vede l’attivazione del progetto College per 50 tra studenti, laureati, accademici e professionisti emergenti provenienti da tutto il mondo.