Il successo di Eva Jospin, scultrice del cartone
Il sogno di Eva è quello di allestire dal nulla un giardino tutto suo, un luogo che sia la rappresentazione su scala naturale delle sue fantasie: di tutto quello che fino a oggi ha cesellato su una quantità assurda di cartone, o schizzato a china su fogli di carta, o ricamato nella seta di stupefacenti arazzi colorati. Il sogno di Eva – ci racconta quando finalmente riusciamo ad acciuffarla tra l’allestimento di una mostra e l’altra, perché il tempo è tiranno e questo pare davvero essere “il” momento di Eva Jospin – «è una sorta di Villa d’Este – la celebre dimora rinascimentale di Tivoli – tutta mia, una follia, piante e architetture e un padiglione expo con le mie opere dentro». Prima o poi succederà, dice, «arriverà un pazzo come ce ne sono in giro oggi e mi permetterà di realizzare questa costosa utopia». Nel mentre, l’artista continua ad allestire i suoi paesaggi – sempre più grandi, sempre più ossessivi – come fa da 20 anni, alla maniera e con i mezzi che l’hanno resa famosa
Eva Jospin nella campagna francese
una foresta e un arazzo in mostra alla galleria continua di San Gimignano.
Materiale non certo consono alla tradizione dell’arte, ma umile ed economico se non gratuito, duttile e riciclabile e reperibile ovunque; materia prima perfetta – a pensarci – per chi si trovi alle prime armi, da lei incrociato per caso agli inizi di tutto – gli inizi di tutto in questa storia sono la fine degli studi all’École des Beaux-Arts di Parigi, dove si laurea nel 2002 – e non più abbandonata. Quelle scatole ammassate nell’angolo di un atelier, durante un trasloco, hanno acceso la miccia. Oggi che è famosa («Dici? Ma a me i riconoscimenti non interessano, non m’interessa la fama, voglio solo realizzare i miei progetti, ho tanti sogni…»), Eva Jospin ci si applica, coadiuvata dal suo team nello studio nell’XI arrondissement, in quello che descrive come un lungo “corpo a corpo” tra artista e opera in divenire: «È un lavoro di grande fisicità, un processo che richiede tanta pazienza. Puoi perdere la concentrazione, ma devi essere bravo a ritrovarla. È come se ogni volta costruissi un grande puzzle: aggiungo pezzi a una struttura di base, li tolgo, cancello alcune porzioni, compongo e ricompongo». È così che prendono forma le sue architetture paesaggistiche: visione iniziale, padronanza dello spazio, senso del dettaglio, un minuzioso lavoro di cesello et voilà – si fa per dire… – le scenografiche foreste che l’hanno resa celebre e che rappresentano il motivo topico della sua produzione: con il loro fitto intreccio di rami e miti, di radici e leggende, di luoghi fisici e dell’anima. Nel 2016 ne allestì una imponente alla Cour Carrée del Louvre: un’opera immersiva, custodita in una struttura ottagonale a specchi che duplicava le facciate del cortile del museo. La foresta come archetipo, la foresta come natura, fiaba e psicoanalisi; palcoscenico che “parla” a ognuno di noi e che ognuno è libero di “abitare” come gli pare: «Sono luoghi per storie tutte da scrivere, non illustrano niente ma evocano», dice, riferendosi anche alle grotte e ai ninfei – sempre in cellulosa, sempre privi di presenza umana – che lei impreziosisce con pezzi di sughero, ghiande di quercia, spugne di mare, conchiglie, inserti di vetro…
Eva Jospin al lavoro nel suo studio parigino.
parte del lavoro realizzato per il progetto maison ruinart
Ma da dove provengono queste fascinazioni? Eva è nata nella Capitale francese nel 1975 e porta un cognome che può risuonare familiare a chi abbia in interesse le vicende della politica internazionale – e infatti sì, è la figlia di Lionel Jospin, primo ministro d’Oltralpe dal 1997 al 2002 durante la presidenza di Jacques Chirac. Dice che da bambina leggeva poco, però andava spesso a teatro; terminato il liceo, un anno di architettura prima di decidere di passare alle Belle Arti, con la folgorazione per il Barocco e i suoi giardini (che trovano in Italia – cuore della sua formazione artistica – la massima espressione spettacolare). È il mondo a cui Eva si riconnette idealmente replicando di continuo le forme predilette: quinte vegetali, grotte, ninfei, “capricci” (elementi architettonici di fantasia che paiono rovine) e altri dispositivi decorativi; un mondo di meravigliosa ambiguità in cui Natura e Uomo si fondono per farsi Teatro e non si capisce bene dove inizi – o finisca – l’opera dell’una e l’artifizio dell’altro. Verrà il giorno – auspicava Eva all’inizio di questo articolo – in cui tutto questo abbandonerà il cartone e la carta e la seta per trasformarsi in un giardino che sia davvero tale e non replica. Intanto, l’agenda si infittisce di mostre e commissioni. Il primo luglio, alla Collection Lambert di Avignone, ha aperto Contre-Monde, selezione di opere in programma fino al 17 settembre che si affianca agli interventi su larga scala esposti, sempre in città, nelle sale del più grande edificio gotico al mondo, ovvero il Palazzo dei Papi (Palazzo, fino al 7 gennaio 2024). C’è poi Panorama, alla Fondation Thalie di Bruxelles (fino al 23 settembre) e Folies, prima esposizione nel continente americano, alla galleria Mariane Ibrahim di Città del Messico fino al 9 settembre. C’è anche l’Italia, con Vedute (fino al 10 settembre alla Galleria Continua di San Gimignano), senza dimenticare il progetto Carte Blanche della maison Ruinart, di cui Eva è guest artist per il 2023. «Sì, forse famosa un po’ lo sono diventata».