The Good Life Italia

Il Made in Italy che non ti aspetti

Non di sola moda o design vive il tanto celebrato Made in Italy, etichetta che inconsapevolmente, di primo acchito, tendiamo ad associare sempre ai soliti settori produttivi, vittime – noi tutti – di una retorica antiquata, quanto mai bisognosa di una salutare messa a punto. Lì fuori, infatti, c’è un altro mondo che lavora bene, anzi benissimo, e sa il fatto suo: lo animano con successo aziende di cui il cittadino medio sa nulla, attive negli ambiti più disparati – compresi quelli ad alto dosaggio di ricerca e tecnologia –, nate nel nostro Paese e proiettatesi con successo sullo scacchiere economico internazionale, in alcuni casi configurandosi anche come multinazionali “tascabili”. Nelle pagine che seguono ne trovate otto, di queste success stories, riassunte e riunite in un florilegio che non ha certo pretese di scientificità, ma che in modo esemplificativo rimanda a un quadro vivace e articolato. Parabole aziendali ben radicate, il cui testimone può tramandarsi di generazione in generazione, innescate da imprenditori caparbi o da chi ha condiviso con altri la propria passione e il proprio fiuto per costruire qualcosa di grande. Che, in qualche caso, è arrivato persino a oltrepassare i confini del Pianeta…

Viva l’ottovolante

C’era un motivetto pop piuttosto famoso, trasmesso dalle radio nei primi Anni 2000, che faceva così: “Life is a rollercoaster / Just gotta ride it”. La vita è una montagna russa devi solo cavalcarla potrebbe essere il refrain ideale di un ipotetico spot Zamperla, che da Altavilla Vicentina regala risate e adrenalina a un sacco di gente in tutto il mondo: «L’azienda venne fondata a Vicenza nel 1966 da mio nonno. Ora è arrivata alla terza generazione e continua a creare giostre che sono prodotti complessi, frutto del lavoro di artisti e ingegneri», racconta Antonio Zamperla, chief executive officer dal 2021. Che prosegue: «Oggi diamo lavoro a quasi 500 persone, di cui la metà circa nel nostro quartier generale. Dico spesso che la Zamperla non sarebbe potuta nascere e crescere che qui. Il legame con il territorio è essenziale per il nostro modo di fare azienda». A braccetto con i giganti del settore dell’intrattenimento (Disney, Universal Studios, Six Flags, Warner Bros…), la Zamperla (100 mln di € il fatturato di gruppo nel 2023) è presente in più di 90 Paesi con impianti di ogni tipo: per bimbi, acquatici, ad alto tasso di batticuore. Segmento, quest’ultimo, che costitusce la parte preponderante delle commesse in portafoglio. A proposito: lo scorso aprile ha presentato l’ottovolante a triplo lancio più alto e veloce di tutti, con vagoni che sfrecciano a 193 km/h all’ora raggiungendo i 128 m da terra. Se siete così pazzi da provarlo, vi tocca visitare il gigantesco Cedar Point di Sandusky, in Ohio (Usa).

Cervelli in orbita

«Immagina un furgoncino Dhl che passa di casa in casa a consegnare pacchi… Ecco, noi siamo quel furgoncino lì», ci spiega Luca Rossettini, classe 1975, Ceo e fondatore di D’Orbit, specializzata nei servizi logistici e di trasporto spaziali. Rossettini sta parlando di Ion, il veicolo messo a punto dall’azienda nata nel 2011 a Fino Mornasco, provincia di Como: un camioncino che sgomma via dalla Terra a bordo di un razzo-lanciatore e che, una volta arrivato al capolinea, inizia ad andarsene in giro a consegnare la merce, smistando il suo carico di micro e nano satelliti singolarmente, in slot orbitali distinti. In gergo si chiama last mile delivery, fa risparmiare tempo e denaro; è diventata la specialità della casa – riconosciuta in tutto il mondo –, anche se in origine il core business era focalizzato su detriti spaziali e deorbitazione: «Un satellite a ciclo vita può essere rimosso in due modi: lo si trascina in una cosiddetta orbita cimitero, una sorta di discarica che in futuro potrebbe essere fonte preziosissima di materiali da riciclare, oppure in un’orbita di rientro, molto più bassa, dove brucia e si vaporizza non lasciando più traccia di sé; ma non è un’idea molto intelligente…». A proposito: di “intelligenze” alla D’Orbit (17 mln di euro i ricavi nel 2023, presente anche in Portogallo e Inghilterra, e negli Stati Uniti con una joint-venture specializzata nella produzione di vere e proprie piattaforme satellitari) ce ne sono parecchie, e in un Paese di cervelli grigi come il nostro quelli in funzione qui lasciano a bocca aperta: «L’età media da noi era di 29 anni, ora è salita a 32 anni perché abbiamo acquisito competenze più “senior“». Il settore è in fortissima crescita e non subisce alcun tipo di contraccolpi di ordine finanziario o geopolitico: «L’organico aumenta di numero ogni settimana e per fine anno pensiamo di sfiorare le 330 unità, di molte nazionalità diverse tra loro».

Tocca a noi, sotto!

Tunnel, trafori, reti fognarie: se c’era da fare buchi, loro arrivavano; così come arrivano oggi, ancora più di prima, mettendo a disposizione la forza inesorabile della tecnica, ora tradotta nelle spire fameliche di gigantesche “talpe” alte come palazzine, lunghe anche 200 metri, che avanzano inesorabili sbriciolando ogni barriera. «Alla galleria del Brennero – che una volta completata sarà la più lunga del mondo – procediamo con tre chilometri di montagna sopra la testa. Si impiegano tre ore di trenino elettrico per arrivare al fronte di scavo», dice Matteo d’Aloja, che di questa multinazionale tascabile è Head of External Relations, Communications & Sustainability, raccontandoci gli ultimissimi capitoli di una storia iniziata nel secondo Ottocento per volontà di Domenico Ghella, nato nel 1837, minatore imberbe a Marsiglia, poi sui cantieri del Canale di Suez e del Tünel di Istanbul ad accumulare fatiche ed esperienze. Tornato in Italia, fonda la società che porta il suo cognome nel 1894; muore però subito dopo, all’età di 57 anni. Il timone passerà allora alla generazione successiva, poi all’altra ancora e fino a quella attuale – la quinta – procedendo sempre di padre in figlio. Sfogliare il libro istituzionale che raccoglie quanto realizzato finora fa un certo effetto: lavori che sfumano nel pionierismo, come la prima galleria di Hong Kong, ma pure tratti autostradali e impianti idroelettrici; su tutto, un sacco di metropolitane, come quella realizzata a Sidney, con cinque Tbm (Tunnel boring machine, insomma le “talpe”) in azione sotto una delle più famose baie del mondo., «un lavoro imponente che colpisce l’immaginario, noi a scavare e sopra gli squali bianchi che nuotavano nel mare»,. Laggìù agli antipodi, tra Australia e Nuova Zelanda, si concentra la metà del fatturato odierno del gruppo, «ma siamo forti anche in Norvegia e Canada, dove riconoscono i meriti e le competenze». Un impegno nel settore delle infrastrutture strategiche (profuso in 15 Paesi, fatturato superiore a 1,2 mld di €, più di 6 000 dipendenti) che solitamente rimane nascosto – «sottotraccia», ironizza d’Aloja – ma che ha trovato un modo efficace per venire alla luce ed essere raccontato: in chiave di documentazione artistica, attraverso campagne affidate ad alcuni tra i più interessanti autori del panorama fotografico. Nell’estate 2024 – anno che segna il 130esimo anniversario dalla nascita di Ghella – il Maxxi di Roma ha ospitato Nuove avventure sotterranee, terzo passaggio di un’operazione culturale cominciata con una prima mostra nel 2021, sempre nel museo capitolino, alla quale è seguita nel 2022 un’ulteriore esposizione al Maxxi di L’Aquila: «I fotografi hanno usato i nostro cantieri come “cantieri” per la loro ricerca, con esiti alquanto suggestivi». 

Mondo di ceramica

L’India e la Turchia. Il Brasile e il Vietnam. La Spagna e la Thailandia. E via elencando, fino a raggiungere numeri ragguardevoli: 19 Paesi, 20 aziende controllate, 2 000 dipendenti (40% un’Italia, 60% all’estero). È il mappamondo targato Colorobbia, holding specializzata nella produzione e distribuzione di materie prime e semilavorati per l’industria della ceramica e del vetro. Radici toscane – lungo il corso dell’Arno, verso Empoli – e business senza confini; e pure qui – come spesso accade – tocca sfogliare un album di famiglia: quello dei Bitossi, cognome che troviamo sull’insegna di un laboratorio artigianale sorto a Montelupo Fiorentino nel 1921. Guido il nome di battesimo del fondatore; Vittoriano quello dell’indimenticato imprenditore legato indissolubilmente al suo lavoro e alla sua terra – i valori di una volta, di cui si avverte l’eco nella fondazione a lui intitolata, istituita nel 2008 –, l’uomo che, aggregando un insieme di produzioni essenziali al settore, ha trasformato l’azienda ereditata dal padre in un gigante in cammino tra i continenti; e infine Marco, l’attuale presidente. Attività ramificate, diversificate e verticali, fino al prodotto finito. Il gruppo Colorobbia è leader nella decorazione di prodotti ceramici a livello internazionale (grazie anche al controllo sulle miniere di materie prime, lo zirconio con Industrie Bitossi e l’acido borico con Inkabor, in Perù) ed è in prima linea nella stampa digitale per piastrelle, nella messa a punto di inchiostri a base d’acqua per ceramica e per tessuti, e nell’introduzione di nuovi processi per la decorazione e la colorazione del vetro. L’orizzonte è mondiale, con lo sguardo puntato soprattutto ai dinamici mercati d’Oriente. Tramandare il saper fare e lo stile di un tempo, invece, è compito delle collezioni di design ancora firmate Bitossi Ceramiche: sono realizzate dall’affiliata nelle mani di Ginevra Bocini, quarta generazione di questa operosa famiglia toscana. 

Aprite quelle porte

Quanti sono i casi in cui il nome di un brand si è sovrapposto a quello di un prodotto in commercio, finendo per identificarlo agli occhi del mercato? Scrigno è uno di questi: dalla ragione sociale dell’azienda di Sant’Arcangelo di Romagna (Rimini) alle porte a scomparsa che segmentano gli ambienti delle case, una soluzione-messa in pratica oltre trent’anni fa dal fondatore, Giuseppe Berardi, ai tempi proprietario di un’anonima falegnameria, il primo a brevettare un’anta scorrevole che, sorretta e protetta da un controtelaio in metallo, si nasconde dentro una parete. L’azienda ha ampliato la propria attività e oggi opera come una realtà industriale articolata in quattro divisioni: porte a scrigno – eccolo, il nome – e blindate, guarnizioni automatiche per serramenti, scale. Il Gruppo Scrigno – dal novembre 2021 nelle mani della società di private equity Pai Partners – è guidato da Fabrizio Campanella e ha un fatturato di oltre 130 mln di €; 450 persone, otto stabilimenti in Italia. «Oltre il 50% di quanto fabbrichiamo si dirige all’estero», ci dice Campanella. «La Francia è per noi il Paese più importante; segue la Spagna, registriamo una buona presenza anche in Inghilterra e Republica Ceca. C’è poi la Cina, dove più vendiamo le nostre porte blindate, prodotti di fascia alta e quindi ad alto margine economico: non hanno certo un’emergenza furti, lì, ma quello che per noi è un solido presidio antiinfrazione per loro è un vero status symbol».

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