Il capitale culturale
Bergamo e Brescia hanno inaugurato nelle scorse settimane il loro mandato come Capitale Italiana della Cultura 2023. Il Ministero della Cultura nel 2020 ha attribuito l’ambito riconoscimento alle due città lombarde senza gara, in via straordinaria e in deroga alla norma, per compensare – come recita il Ministero – il territorio per la tragica esperienza pandemica e i suoi lutti”, ma anche per raccogliere le energie e indirizzarle verso il rilancio. Capitale della Cultura è titolo ricorrente, ma anche un po’ misterioso. Per esempio, che differenza c’è tra essere Capitali italiane ed europee? Come le si diventa? E a che scopo? Per rispondere, serve un po’ di storia. In principio furono le Città europee della Cultura, progetto avviato nel 1985 su iniziativa di Melina Merkouri, all’epoca Ministra della Cultura nel governo greco. Con il nuovo millennio è cambiata la denominazione, diventata “Capitale europea”, è cresciuta la notorietà del programma e a partire dal 2004 sono mutati anche i criteri per l’assegnazione del titolo, che da quel momento in poi avviene sulla base di un’equa alternanza tra gli Stati membri e prevede una competizione interna agli Stati di turno medesimi. L’anno di snodo, per l’Italia, è il 2014. Quell’anno il nostro Paese era chiamato a esprimere la città che avrebbe rappresentato l’Italia come Capitale europea della Cultura nel 2019. La scelta cadde su Matera, ma, per non disperdere l’importante lavoro compiuto dalle altre città risultate sconfitte, l’allora ministro della Cultura, Dario Franceschini, decise di istituire il titolo di Capitale italiana della Cultura sulla falsariga del progetto europeo. Le prime Capitali italiane della Cultura, quindi, sono state Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna e Siena nel 2015. Da lì in poi, il titolo è stato assegnato ogni anno con l’eccezione del 2019, quando la già citata Matera è stata Capitale europea della Cultura. Parma, invece, ha visto il suo mandato, previsto per il 2020, estendersi anche all’anno successivo a causa della pandemia. Per quanto in apparenza simili, però, le due manifestazioni si differenziano soprattutto per budget e tempistiche di progettazione. Nel caso della Capitale europea della Cultura le candidate si mettono al lavoro circa nove anni prima. Una volta che il Paese ospitante lancia il bando (circa otto anni prima dell’evento) inizia la scrittura dei dossier, che vengono valutati da un panel composto da membri designati dalla Commissione Ue e dal Paese ospitante. Circa quattro anni prima dell’evento viene annunciata la città vincitrice. Un percorso così lungo consente una progettazione approfondita e la costituzione di budget elevati: «Il budget medio dell’evento è di circa 900 € per abitante», spiega Paolo Verri, manager culturale che fu Direttore generale di Matera 2019. Che prosegue: «A Matera, per esempio, che ha 63 000 abitanti, è stato di 54 mln, senza considerare le infrastrutture di scopo, nemmeno culturali, da valutarsi a parte».
Pesaro, capitale cultura 2024, villa caprile.
veszprem in ungheria capitale della cultura europea 2023
I fondi arrivano in gran parte dalle casse pubbliche (Regione, Stato, Comune, circa 85% in proporzioni variabili), il resto da sponsor privati, biglietti, diritti e così via. L’Unione europea non emette contributi diretti, se non un premio di 1,5 mln di € che viene assegnato se la città ha declinato nel modo più auspicabile il proprio dossier di candidatura. Nel caso delle Capitali italiane della Cultura, la scelta di assegnare il titolo ogni anno influisce sulla natura della manifestazione e sul budget a disposizione. I dossier di candidatura vengono valutati da una commissione composta da nove membri designati dal Governo in accordo con altri soggetti. La città vincitrice viene proclamata di solito con meno di due anni di anticipo. Per esempio, lo scorso 16 marzo, è stata nominata Pesaro, che sarà Capitale italiana della Cultura dopo Bergamo e Brescia, nel 2024. “La natura della cultura” sarà il claim Pesaro 2024. Il Governo attribuisce un premio di 1 mln di € alla città vincitrice e raramente eroga contributi ulteriori. Amedeo Palazzi è fondatore e direttore creativo di Fachiro, agenzia di comunicazione che ha lavorato per Mantova 2016, Parma 2020-21 e ora si occupa di Pesaro 2024. E spiega: «Il contributo del governo è un volano che va moltiplicato sul territorio, avvicinando il mondo del privato e delle imprese a quello del pubblico, con strumenti come il modello di governance pubblico-privata introdotto a Parma». I budget delle Capitali italiane della Cultura dipendono dalle dimensioni del territorio, dalla profondità del progetto e dalla capacità di attrarre capitali. Nei primi anni della manifestazione il budget medio è sempre rimasto sotto i dieci mln, ma oggi si osserva un trend di crescita. Così, se Parma ha investito 17 mln, per Bergamo e Brescia 2023 si parla di cifre ampiamente sopra i 20 mln (a salire). In base a quali parametri si può definire “riuscito” un evento di questo genere? L’unica strada è quella della valutazione da parte di un organismo indipendente.
parma 2020/21: palazzo della pilotta, galleria nazionale; piazza duomo, la cattedrale.
Nel caso europeo si tratta di un obbligo previsto nel bando. In Italia ogni città si muove autonomamente, anche per quanto riguarda i criteri di valutazione. Significativo, è il caso di Parma 2020-21, che ha in corso di pubblicazione un Impact Report in collaborazione con Deloitte che valuta l’evento prendendo spunto dal framework “Culture 2030” dell’Unesco. La necessità di misurare le ricadute sul territorio è un tema urgente anche per il Governo, che ha incaricato la Fondazione Scuola Beni Attività Culturali di costruire un modello di monitoraggio e valutazione che ha debuttato a Procida 2022. Oltre alla valutazione sull’impatto (sociale, culturale, economico, simbolico), un punto chiave per determinare il successo di un evento di questo genere è la capacità di produrre effetti di lungo periodo, come spiega Franco Bianchini, ricercatore, cofondatore della Fondazione Fitzcarraldo e a lungo docente di Politiche Culturali e Culture of Planning in Uk: «Senza una strategia chiara di legacy impostata fin dal principio, il rischio è che la capacità di questi eventi di catalizzare le energie migliori delle città non produca effetti di lungo periodo rendendoli di fatto poco sostenibili».
Se è chiaro che ottenere l’ambito titolo di Capitale italiana della Cultura (e tanto più per il suo corrispondente europeo) è – parola di Amedeo Palazzi – «Un’occasione irripetibile di ripensamento attraverso la cultura» e porta risultati tangibili in termini di capacità di attrarre risorse e flussi turistici, sviluppare cultura e accrescere la brand awareness della città (la piccola isola di Procida ha accolto oltre 600 000 visitatori durante il mandato appena concluso), anche la semplice partecipazione alla competizione può portare a benefici non indifferenti perché, come spiega Paolo Verri, «obbliga a una progettualità, necessaria per affrontare il percorso di candidatura, che spesso è quasi completamente assente nelle nostre città medio piccole, per motivi di mancanza di risorse e strutture dedicate».