VibrationsHow to Die Well, una guida pratica (e illustrata) alla morte

How to Die Well, una guida pratica (e illustrata) alla morte

Come diamine si fa quando si muore? Con il fatto che, fino a prova di San Tommaso contraria, nessuno che ci è passato può raccontarci l’esperienza, abbiamo da molto tempo smesso di porci la domanda. Morire tocca a tutti, uno poco preparato non viene mica rimandato alla sessione successiva: così nella nostra società pragmatica, iperproduttiva, astenersi perditempo, ha prevalso la regola del non pensarci troppo e, per carità, meglio neanche parlarne.

Ed eccoci arrivati ai giorni nostri, a fare le prefiche virtuali su Facebook, commemorando ogni celebrità che ci lascia, nel tentativo di sentirci parte di una comunità, che il nostro istinto sopito riconosce ancora come valido mezzo per affrontare il lutto. Mentre quando a mancare è, per dire, il genitore di un amico che abita a pochi passi, stringersi intorno a lui non viene sempre naturale: non per pigrizia o aridità, è che non abbiamo proprio idea di cosa dirgli. Bene, le cose potrebbero cambiare.

La recensione di How to Die Well, una guida pratica alla morte

Nel Regno Unito è uscito How to Die Well: A Practical Guide to Death, Dying and Loss (si può leggere gratuitamente qui), un manuale illustrato, dal quale sono tratte le immagini di queste pagine, che si pone l’obiettivo di aiutare le persone ad arrivare preparate alla morte, propria e altrui, in termini di emozioni, desideri e faccende pratiche da sbrigare. Il progetto, voluto da Royal London e diretto dall’agenzia creativa del fotografo Rankin, vuole anche stimolare una conversazione pubblica, onesta e senza remore, sul più misterioso dei temi. Al motto di “parlarne non lo farà succedere prima, quindi stiamo tutti calmi”, la guida spazia dalle informazioni utili per stilare un testamento efficace o scegliere di donare gli organi o trovare le parole per dire addio ai propri cari dopo una lunga malattia, alle trovate creative per organizzare preventivamente il proprio funerale, in modo che diventi una celebrazione gioiosa della vita che si è condivisa. E snocciola anche una serie di aspetti curiosi, che molti di noi probabilmente non hanno mai considerato: per esempio che a oggi 3,8 mln di bitcoin, cioè 25,5 mld di €, sono finiti virtualmente nella tomba insieme ai proprietari, solo perché nessuno di loro ha lasciato indicazioni su come accedere al cripto-conto. Scopriamo così che sarebbe buona prassi, anche per i meno tecnologici, comunicare a una persona di fiducia dove teniamo il nostro “faldone della morte”: la raccolta dei documenti finanziari e legali essenziali, oltre a istruzioni su cosa fare della nostra collezione di Dylan Dog, o su chi sarà il fortunato a ricevere in eredità dieci cactus alti mezzo metro o a prendersi cura dell’adorato bassotto, meglio se con un lascito in denaro utile a mantenerlo.

“Parlarne non lo farà succedere prima, quindi stiamo tutti calmi”

E poi ancora: quale canzone dovrà accompagnarci fino alla fine? (Nel dubbio, My Way di Frank Sinatra risulta essere la più gettonata) Sepoltura o cremazione? (Dopo che David Bowie ha optato per la seconda soluzione nel 2016, in forma privata senza astanti, pare che la cremazione diretta e low cost sia diventata un trend in Uk). E infine, per l’ennesima e ultima volta, c’è da capire: cosa voglio indossare? Nello spirito solerte del libro, la definizione per tempo di tutti questi dettagli, anche quelli apparentemente più frivoli, ha una duplice funzione: sgravare le persone che amiamo dall’obbligo di dover scegliere in futuro per noi, soprattutto in un momento concitato e disorientante come quello della perdita di un affetto, in cui ci manca solo il senso di inadeguatezza per chiudere il cerchio come si deve; prendersi il tempo, mentre si compilano le death-list, di fare mente locale sulle nostre priorità, sulle imprese ancora da realizzare, sulle relazioni che contano, sui ricordi che desideriamo lasciare e sullo spicchio di immortalità che vogliamo conquistarci in questo mondo. Del resto, “immagina il tuo epitaffio: cosa ci sarà scritto?” è la classica domanda che uno psicoterapeuta può farti a bruciapelo durante una seduta sonnacchiosa, per scuoterti dal torpore esistenziale e far uscire all’istante il tuo vero “io”.

Illustrazioni: Andrea Ucini

Il vero protagonista del libro è l’istinto umano di fare rete

Ma non tutti abbiamo o possiamo permetterci un analista, o un prete, un imam, un rabbino, un filosofo di riferimento, qualcuno con cui provare a sbrogliare la matassa degli aldilà e degli aldiqua. In questo vuoto conversazionale, da qualche anno si sta sviluppando negli Stati Uniti e in Inghilterra il Positive Death Movement, che con un approccio comunitario, democratico e coinvolgente – spesso grazie anche a intelligenti invenzioni di marketing –, mira a infrangere il più definitivo dei tabù. La prima a rendere mainstream il concetto di “positività verso la morte” è stata Caitlin Doughty, giovane impresaria funebre americana, diventata star di YouTube e autrice di bestseller come Il mio gatto mi mangerà gli occhi? e altre grandi domande sulla morte (pubblicato in Italia da il Saggiatore, 2020), in cui anche la decomposizione dei corpi è trattata nei particolari, come una meritevole espressione della natura umana.

La Doughty si chiedeva perché ci fossero innumerevoli siti e fonti sull’essere sex positive – cioè sull’accettare pienamente, senza giudizio, superando paure o vergogna, i vari aspetti della sessualità –, ma nessuno che promuovesse un atteggiamento death positive. Le iniziative in questa direzione sono andate moltiplicandosi negli ultimi anni, a partire dai Death Cafe: ideati a East London da Jon Underwood, sono incontri di gruppo tra sconosciuti che, davanti a bibite e snack, invece di approfondire la poetica di Walt Whitman, scelgono di fare due chiacchiere informali sulla morte. E così facendo contribuiscono a normalizzarla, almeno come argomento di discussione. Più di 11 000 di questi incontri si sono tenuti a oggi, in 74 Paesi, compresa l’Italia. Sono spuntate anche nuove professioni, come la end-of-life doula: si ispira alla figura che accompagna emotivamente e fisicamente le partorienti, ed è formata per assistere le persone malate che stanno per morire e i loro familiari. E probabilmente tra i lavori più richiesti in futuro ci sarà il digital death manager, ingaggiato per pianificare e organizzare i dati della nostra vita digitale, che ormai è buona parte della nostra esistenza totale, quando non ci saremo più (alzi la mano chi non ha avuto un sussulto quando Facebook ci ha chiesto per la prima volta: chi vuoi nominare erede del tuo account?).

Se fino a poco tempo fa il pensiero dell’impresario funebre evocava inquietudini e asettiche funzioni, ora una nuova generazione di operatori del settore propone soluzioni creative e poetiche, realizzate grazie all’ascolto di familiari e amici e incentrate sull’importanza dei ricordi. Non solo, collabora con gli eco-designer per rendere disponibili bare in materiali più biodegradabili, come alghe, lana o bambù. Tra le pagine di How to Die Well si trovano tante idee interessanti, come queste, da “importare” al di qua della Manica. Ma il vero protagonista del libro è l’istinto umano – che il Covid ha per così tanti mesi violentemente soffocato – di fare rete, di trovare senso in un abbraccio.

Il manuale illustrato how to die well è disponibile online gratuitamente sul sito royallondon.com, in inglese. 

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