Gli spazi pubblici cambiano indirizzo
Nel quartiere Toscanini di Aprilia, comune alle porte di Roma, fino a non molto tempo fa i palazzi si affacciavano su un’immensa area dismessa di 8 600 mq. Era talmente brutta e priva di senso che per tutti era – semplicemente – “il buco”. Oggi, al posto del buco, si può ammirare una piazza bellissima, che ogni giorno, a tutte le ore, pullula di vita. Non accade per caso. Se consideriamo le piazze come sintesi bidimensionali delle aspirazioni e delle visioni delle nostre comunità, saper leggere il loro spartito architettonico ci racconta qualcosa del nostro futuro; forse addirittura la cosa più importante. Il tema delle piazze, infatti, ne trascina con sé un altro, più generale: quello di “spazio pubblico”: «Nel secolo scorso le piazze erano usate come aree di sosta o di snodo del traffico: erano il palcoscenico della mobilità, coerentemente con l’ideale di espansione urbana di allora», spiega Carlo Berizzi, professore associato all’Architectural Maker Lab dell’Università di Pavia e autore di Piazze e spazi collettivi. Nuovi luoghi per la città contemporanea (Il Poligrafo, 2018). E prosegue: «Nel Terzo Millennio è cambiato tutto. Gli spazi pubblici, oggi, devono invece coniugare nuove forme di socialità, il bisogno di aree verdi e quello di più ecologiche soluzioni per muoversi. Un trend mai offuscato dalla dimensione virtuale e accelerato dalla pandemia, che ha portato all’esterno molti dei nostri riti. Ma un trend che coinvolge anche il concetto di identità: le nuove piazze, infatti, contribuiscono al senso di appartenenza dei nuovi e mutevoli abitanti della città». Il merito di avere trasformato “il buco” di Aprilia in uno luogo aperto al pubblico vitale si deve alla start-up romana Orizzontale, un collettivo di giovani architetti che si occupa della realizzazione di “spazi pubblici relazionali”, insieme a un grande studio di progettazione (Adlm). A permettere i lavori, un finanziamento dell’Unione Europea vinto partecipando a un bando del comune di Roma. «Con tanto spazio a disposizione abbiamo potuto creare una piazza “ibrida”. con diverse funzioni», racconta Roberto Pantaleoni, architetto responsabile del progetto della piazza, inaugurata nel 2021. «La struttura gialla, il “ring”, contiene giochi per bambini e attrezzi per fare sport all’aperto. La parte più bassa è invece occupata dal parco. Infine c’è un’area libera per il passaggio di bici e di pedoni o – all’occorrenza – per concerti, mostre». In questa bella storia lo spazio pubblico è stato preso in carico da molti soggetti, inclusi gli abitanti e le associazioni di quartiere, specialmente quelle sportive che, oggi, attorno alla piazza, hanno i locali per le loro attività. «Trovare una lingua e un passo comune ha richiesto tempo e lavoro, iniziative diverse – come quella del fotografo Alessandro Imbriaco, che ha immortalato gli abitanti del quartiere chiedendo loro: “Che piazza vuoi?” – e, dopo l’iniziale diffidenza, alla fine quasi tutti gli abitanti hanno partecipato. Molti anche ai laboratori dedicati al verde e all’autocostruzione delle passerelle del parco, da lì è nata l’idea di costruire anche un tavolo rotondo, dunque senza capotavola, per il “pic nic di quartiere” e un campo da bocce, fortemente voluto dai più anziani. Ora gli abitanti sono orgogliosi e si prendono cura di questo spazio, che percepiscono finalmente come qualcosa che “appartiene loro”».
Tra dovere e desiderio
Laddove il trend di urbanizzazione genera città sempre più vaste e affollate, come in Estremo Oriente, lo spazio pubblico diventa invece sempre più il luogo della negoziazione tra dove “dobbiamo” e dove “vogliamo” essere. È il pensiero che ha guidato lo studio AIM Architecture di Shanghai che, nel 2018, con la piattaforma Urban Matters (innovativo progetto di urbanistica che raccoglie informazioni sulle condizioni delle aree urbane per creare dibattito e fornire strategie e soluzioni) ha trasformato un’area pubblica di 330 mq da parcheggio dismesso a giardino urbano, gioioso luogo di passaggio e incontro. Si chiama Urban Bloom, si trova in Anfu Road, in un quartiere di Shanghai che mescola grattacieli di uffici e servizi a casette di tre piani ed è candidato al World Building of the year Awards 2022. «Abbiamo usato quattro ingredienti: pallet, vasi, sfere e piante», spiega Wendy Saunders, fondatrice con Vincent de Graaf dello Studio AIM. «Le città sono enormi produttori di rifiuti. Noi volevamo che questo nuovo spazio fosse a basso impatto e interagisse con gli elementi naturali in modo artificiale, dimostrando che è possibile creare qualcosa di nuovo a partire da ciò che nuovo non è. I pallet, dipinti di verde, creano uno scenario ondulato dal quale sbocciano fiori veri e lunghi steli artificiali che reggono sfere trasparenti contenenti foglie verdi e luci. Quando si accendono, di sera, le luci creano un’atmosfera magica. È un luogo bello da guardare e dove è bello sostare per leggere, chiacchierare, ma anche per assistere a uno spettacolo all’aperto». Una nuova idea di spazio pubblico che è, allo stesso tempo, naturale e artificiale, permanente e flessibile, razionale e sensoriale. A migliaia di chilometri di distanza da Shanghai, nella città di Normal, in Illinois, invece avevano un problema: un brutto incrocio creava continui ingorghi e incidenti. Il comune ha così affidato allo studio Hoerr Schaudt, paesaggisti di Chicago, il compito di risolverlo e lo studio ha creato Circle, una piazza circolare che, a livello base è una semplice rotatoria antitraffico, ma che invece, in più, offre ai passanti una piazza aperta con un parco, posti a sedere, giochi d’acqua, ombra e verde, un posto dove fare la pausa pranzo, portare i bambini o aspettare l’arrivo dei treni della vicina stazione. E con un intento pedagogico: l’acqua delle vasche dove i bambini possono giocare quando fa caldo è frutto del riciclo e recupero delle acque piovane, come illustrano i pannelli informativi. Lo spazio pubblico, in questo caso, integra diversi “temi civici” in un solo progetto: viabilità, corridoi pedonali, risparmio idrico e recupero delle acque piovane e luogo di incontro libero.
Shangai, Cina: anfu road nasce dalla rigenerazione di un’area di 330 mq da ex parcheggio a giardino urbano con il nome urbam bloom (aim architecture).
Gli spazi pubblici cambiano la città
Può la rigenerazione di uno spazio pubblico trasformare una città? Se non proprio la città, una porzione rilevante di essa. Paola Viganò, alla guida dello Studio Sechi-Viganò, ci racconta la sua esperienza di Anversa: «La piazza del teatro della città era uno spazio immenso e senza una precisa identità, occupata dagli skaters e con una statua mezza vandalizzata nel mezzo. Gli abitanti non la volevano più. Così, il Comune ha indetto un concorso e, alla fine, ha scelto di finanziare il nostro progetto, che l’avrebbe trasformata per metà in un giardino e per metà in piazza coperta che – a seconda del giorno o dell’ora – cambia pelle». In questo modo, grazie ad arredi dotati di ruote che vengono ritirati la sera, la piazza da frequentatissimo luogo per il mercato, al mattino, diventa uno spazio gioco per i bambini o di riscaldamento per gli allievi della scuola di danza del Teatro il pomeriggio. Infine, in un luogo di ritrovo per gli skater o di gradevole passaggio per raggiungere i caffè sul lato opposto all’ora dell’aperitivo. Una delle sfide era rappresentata dal terreno molto irregolare, con vari dislivelli: «Noi li abbiamo allora trasformati in un morbido piano inclinato, accessibile a tutti, dominato della presenza del teatro, un edificio degli Anni 70 con una brutta facciata in calcestruzzo», prosegue Viganò. «Una volta mascherato l’edificio con questo volume aperto, sorretto da colonne altissime e leggerissime che facilmente possono essere attrezzate con luci e altoparlanti, abbiamo creato – se richiesto dall’occasione – una sorta di piazza-palcoscenico. E l’atmosfera è talmente cambiata che molti credono sia stata rifatta anche la facciata del teatro! Anche la parte dei caffè, sul lato opposto, era molto degradata e oggi è rinata. Questo non fa che confermare un principio basilare: il pensiero sullo spazio collettivo è un agente fondamentale per il buon sviluppo di una città». Ci sono luoghi, però, che presentano un altro tipo di complessità, spazio collettivo e luogo della memoria al tempo stesso. Come Piazza Solidarność a Stettino, una piazza al confine tra urbanistica e architettura, un palcoscenico aperto e flessibile disegnato da Robert Konieczny dello Studio KWK Promes che ha vinto il World Building of the year nel 2016. L’area, rasa al suolo durante la Seconda guerra mondiale, da anni era semplicemente uno spazio vuoto tra i quartieri, usato soprattutto per le manifestazioni dei lavoratori degli Anni 70. Per darle un’identità, e rafforzare al tempo stesso quella cittadina, serviva un progetto come questo, che la ripensasse attraverso uno spazio chiuso – il museo di storia ipogeo – e uno aperto – la piazza che sovrasta la copertura del museo, modellata come una collina artificiale. A fare da collante, il materiale: cemento armato a vista, per non rompere la continuità visiva tra la piazza e la porzione di museo non interrata. A fare il resto, gli abitanti: oggi la sua forma incoraggia i ciclisti, gli skater e anche l’uso delle slitte quando nevica. E, di fatto, è l’unica collina della città.
Il piano di rigenerazione dell’area dell’ex macello di milano: 1 200 alloggi per l’housing sociale, il campus dell’istituto europeo di design, piazze e un parco di 30 000 mq.
Piazza karen blixen, a copenaghen, collega il campus dell’università con amager fælled.
le architetture disegnate da santiago calatrava per rigenerare l’area del porto di valencia, in spagna, oggi città delle arti e della scienza.
Spazi aperti e multistile
A Milano un mix di sostegni pubblici e privati, per un totale di 500 mln di investimenti, si sta occupando di un’area di 15 ettari all’interno del programma Reinventig cities, la competizione globale promossa da C40 Cities Climate Leadership Group – il network di circa 100 città influenti a livello mondiale impegnate a combattere il cambiamento climatico- con il supporto di Climate KIC, la principale iniziativa europera per il clima. Nella città degli spazi privati per eccellenza, come è sempre storicamente Milano, questo mix sta invece collaborando per trasformare entro il 2025 l’area dell’ex Macello in un vero e proprio quartiere con 1 200 alloggi sociali firmati da Redo, società benefit che promuove il social housing e la rigenerazione urbana, la sede del nuovo Campus dell’Istituto Europeo del Design (super progetto di Cino Zucchi Architetti, presentato nel 2021), spazi per il coworking e piazze inserite in 30 000 mq di parco urbano e piste ciclabili. La rigenerazione, dunque, come occasione per riscrivere il tessuto connettivo pubblico della città. Così Cino Zucchi: «Le aree industriali dismesse oggi sono uno dei temi principali del territorio europeo. E sono anche una grande occasione per progettisti e urbanisti per la loro dimensione, per la posizione a ridosso del centro e prima delle aree di espansione residenziale e per la possibilità che offrono di creare spazi pubblici verdi. Se il secolo scorso è stato quello dell’espansione urbana, questo dev’essere quello della sua trasformazione, cioè della creazione di nuovi spazi pubblici che possano accogliere nuovi stili di vita senza prescriverli». Come è successo a Valencia, dove la creazione di uno spazio collettivo immenso ha permesso a tutta la città di uscire da una posizione provinciale e defilata. Questa città di 800 000 abitanti dalla fine degli Anni 80 è infatti attraversata da un enorme parco urbano attrezzato realizzato in quello che era il letto del fiume Turia, il cui corso è stato deviato a causa delle frequenti e pericolose esondazioni. Un esempio di spazio collettivo e inclusivo, accessibile dal centro come dalla periferia. Spiega Luisa Bocchietto, architetto, designer e membro della World Design Organization di cui è stata presidente dal 2017 al 2019: «L’amministrazione pensava a un intervento speculativo, tra parcheggi e centri commerciali, ma i cittadini, riuniti nel movimento Il fiume è nostro e lo vogliamo verde, si sono attivati e ha prevalso l’idea di un grande giardino pubblico». Ci sono voluti anni, dall’inaugurazione della prima porzione centrale alla realizzazione di un parco che oggi va dalla Città delle Arti e delle scienze fino al nuovo Bioparco, che ha sostituito lo zoo: «Ma poi, grazie alla collaborazione tra pubblico e privato, sono arrivati i progetti di Calatrava: il Palazzo delle arti, il Museo della scienza, l’Agorà, una terrazza panoramica coperta. Strutture diventate iconiche che insistono lungo il percorso e hanno connotato l’area, diventando uno dei maggiori poli attrattivi per turisti e abitanti. L’esperienza di Valencia, che quest’anno celebra anche la sua nomina a capitale mondiale del design, è una conferma di come lo spazio collettivo oggi deve essere in rete con i luoghi di incontro e consumo culturale».
«Lo spazio collettivo oggi deve essere in rete con i luoghi di incontro e consumo culturale»
L’architetto Massimiliano Fuksas, dice di partire sempre da due pilastri: i flussi, ossia i percorsi di chi vive e utilizza un territorio; e la luce. «Sarà perché sono romano… ma alla fine è tutta la vita che progetto pensando alla luce di Roma», commenta. Insieme alla moglie Doriana, Fuksas ha firmato alcuni tra i più famosi progetti di spazi collettivi al mondo: complessi fieristici come Rho Fiera Milano o, a Roma, la Nuvola e a Eindhoven l’Admirant Entrance Building, opera conclusiva del maxi intervento di trasformazione urbana partorito dalla matita dell’architetto romano; ma anche luoghi di transito. A Marsiglia, dieci anni fa, ha firmato il progetto dell’Euromed Center. Si tratta di un’enorme opera di rigenerazione: un nuovo quartiere nato dal recupero di un’area dismessa della zona del porto attraverso la realizzazione di quattro edifici a basso consumo energetico, un hotel con piscina, un cinema multisala, due chilometri di percorsi pedonali e un parco pubblico di 5 000 mq. Un complesso che partecipa al desiderio di accompagnare una città in movimento, in continua evoluzione come Marsiglia e dove tutto sembra giocare con la luce per esaltare volumi e superfici di edifici e percorsi: «Il Jardin d’Arenc, in particolare, ha lo scopo di accogliere gli abitanti del quartiere, ma anche i turisti che arrivano in città e che qui trovano un piacevole spazio pubblico. Ed è così che nascono nuovi flussi, perché lo spazio collettivo non è dell’architetto, ma di chi lo vive e, ogni volta, gli dà un significato». Restiamo in Francia. Anche Odyssée Pleyel, così si chiama l’imponente cattedrale ecologica in legno sorta su un ex sito industriale della città di Saint-Denis, fa parte del programma internazionale di Reinventing Cities. In questo caso a firmare il progetto è stato lo studio parigino Jacob+Mac Farlane di Dominique Jakob e Brendan MacFarlane, insieme a Nailk Associates. Con quale obiettivo? «Rivitalizzare un quartiere degradato realizzando un edificio accessibile e carbon free, un edificio in legno, luminoso e leggerissimo, dal design modulare, quindi trasformabile a seconda delle esigenze e soprattutto capace di autoprodurre energia grazie all’impiego di celle energetiche ibride come quelle solari fotovoltaiche e solari termiche, ottenendo una struttura molto vicina al concetto di smart city», spiega Brendan Mac Farlane. «Trasformare un ex sito industriale, quindi molto impattante sull’ambiente, in un edificio del futuro, del tutto autosufficiente e a emissioni zero, è stata la sfida che abbiamo voluto cogliere. E grazie al progetto questo spazio ora è vivo e fruibile, anche grazie ai laboratori scientifici per i giovani e allo “studio Innovazione”, dove lavorano start-up, partner industriali e Ong “green” che, insieme, organizzano il festival annuale You Are Energy. Inoltre, abbiamo una sala per eventi sportivi o culturali e un ristorante inclusivo». Il tutto, a pochi metri dal Villaggio Olimpico di Parigi 2024, evento sportivo che, insieme a questo nuovo edificio, contribuirà a dare nuove identità a tutto il quartiere. Perché le piazze cambiano insieme ai loro abitanti.