Design a fior d’acqua, Suggestioni (e soluzioni) idrofile per un futuro anfibio
“If we can dream it, we can do it”, come disse Walt Disney, anzi no, Tom Fitzgerald, un suo meno conosciuto collaboratore. Questo il pensiero che suscitano i progetti futuristici delle città galleggianti, di cui a oggi esistono già dei casi in progress (da Oceanix Busan firmato Big – Bjarke Ingels Group, a Maldives Floating City seguito da Dutch Docklands). Recentissimo è quello presentato da Luca Curci e Tim Fu Design alla Biennale Architettura 2023, in corso fino al prossimo 26 novembre a Venezia, dove, fra l’altro, è concomitante la mostra Everybody Talks About the Weather, proprio sul futuro a rischio della Serenissima. La Floating City di Curci si colloca nel panorama di soluzioni abitative galleggianti elaborate come possibili risposte al problema dell’innalzamento delle acque, al centro dell’attuale attenzione internazionale. Proprio il 14 febbraio scorso, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha dichiarato che «Rising seas are sinking futures», ossia l’innalzamento dei mari sta affondando il futuro: accelerato dai cambiamenti climatici, sta mettendo in pericolo i mezzi di sussistenza delle generazioni a venire. L’Organizzazione meteorologica mondiale stima che il livello del mare sia salito nel XX secolo più che durante tutti i precedenti 3 000 anni. Le conseguenze prospettate sono visioni da film catastrofico degli Anni 70. «Comunità e interi Paesi potrebbero scomparire per sempre. Rischiamo un esodo di massa di intere popolazioni su scala biblica. Generando una concorrenza sempre più agguerrita per l’acqua dolce, la terra e altre risorse», ha dichiarato Guterres. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico stima che entro il 2050 tra i 31 e i 72 mln di persone nei Paesi dell’Africa subsahariana, dell’Asia meridionale e dell’America Latina si sposteranno a causa della scarsità d’acqua, dell’innalzamento del livello del mare e delle carestie. Anche ipotizzando che si riesca a contenere il più possibile l’aumento delle temperature medie globali, è molto probabile che l’innalzamento delle acque non si arresti. Ma siccome la natura è democratica, nemmeno i Paesi occidentali più ricchi sfuggiranno a questo destino. A mano a mano che le città costiere crescono a livello globale, infatti, la combinazione fra densificazione edilizia e innalzamento del livello del mare implica un crescente rischio di inondazioni. La rivista scientifica Earth’s Future ha pubblicato a inizio maggio uno studio sull’osservazione dell’abbassamento del terreno nei cinque borough (quartieri) di New York. Da cui emerge che, in media, la città sta sprofondando di uno o due millimetri all’anno. Scopo del documento è sensibilizzare sul fatto che ogni altro grattacielo costruito in località costiere, fluviali o lungolaghi potrebbe contribuire al futuro rischio di inondazioni. Finire sott’acqua, infatti, è una possibilità che non coinvolge solo New York: negli Usa citiamo ancora Miami, ma anche Bangkok, Tokyo, per arrivare fino in Italia dove, oltre a Venezia, anche Bari mostra segnali in quella direzione. Con questa prospettiva alla Waterworld si comprende perché i progetti di città galleggianti non siano più considerati fantascienza, ma una possibilità necessariamente da esplorare, in parallelo coi progressi tecnologici: «La città galleggiante può fornire una soluzione all’aumento del livello del mare e ai rischi associati alle inondazioni costiere», spiega Luca Curci. E aggiunge: «Inoltre, può offrire una maggiore flessibilità nella pianificazione urbana e nella gestione delle risorse. Può essere progettata sostenibile, utilizzando energie rinnovabili e tecnologie innovative. Infine, può promuovere la mobilità green e la coesistenza armoniosa con l’ecosistema marino».
il gigante sull’acqua sluishuis, ad amsterdam, progettato da big.
land on water, ossia i moduli abitativi galleggianti firmati dallo studio mast.
Floating in progress
Se la città galleggiante è idealmente il punto di arrivo, nel frattempo si sperimentano step intermedi. Per esempio i quartieri sull’acqua, diramazioni urbane circoscritte che testano modalità innovative dell’abitare. Da un lato, muovono passi verso l’auspicato modello policentrico, costituito da piccoli agglomerati autosufficienti, dove tornerebbero quei servizi di comunità e quelle distanze a misura d’uomo che restituiscono una buona qualità di vita. Dall’altro, esplorano l’acqua come nuova superficie abitabile, offrendo un’alternativa al recupero di terra e al consumo di suolo. In questa direzione va per esempio il progetto Land on Water dello Studio Mast di Copenaghen. Si tratta di un sistema basato su moduli semplici, realizzati in plastica rinforzata e riciclata che possono essere smontati, trasportati e assemblati nelle configurazioni più diverse. «Questo sistema», ci spiega Marshall Blecher, cofondatore dello studio, «consente al galleggiamento di regolarsi nel tempo per adeguarsi ai cambiamenti nella distribuzione del peso. Favorisce inoltre la crescita della vita marina, fungendo da vivaio per pesci e crostacei e da punto di ancoraggio per le alghe». Una soluzione che integra l’acqua, piuttosto che combatterla perché, dicono, «la sottrazione della terra al mare è una pratica molto dannosa per l’ambiente e risolverà il problema dell’innalzamento delle acque solo temporaneamente». Mast sta seguendo progetti alle Maldive e nei Paesi Bassi, dove il livello del mare rappresenta una seria preoccupazione per il futuro prossimo. «Vediamo un enorme potenziale per le residenze e le strutture turistiche, specialmente nei Paesi Bassi e in Danimarca. Dal nostro punto di vista, le comunità galleggianti sono l’applicazione più entusiasmante, perché offriranno opportunità anche per nuovi modelli di sviluppo che siamo molto curiosi di scoprire». Simile nelle intenzioni è il gigante appoggiato a pelo d’acqua Sluishuis ad Amsterdam, progettato da Big – Bjarke Ingels Group e Barcode Architects: 442 appartamenti a energia zero, ossia alimentati per lo più da fonti rinnovabili in situ, un giardino pubblico sul tetto e uno spazio per 30 houseboat cui attraccare: «Tra le sfide più grandi di questo progetto», spiega Jeppe Langer, Project Manager di Sluishuis, «c’è stata l’elaborazione di una facciata in grado di resistere alle intemperie e all’acqua. Abbiamo scelto l’alluminio grezzo, che di solito si sottopone a preossidazione, un processo che consuma energia e impiega componenti chimici. Noi abbiamo deciso sia la natura a farlo: nel tempo, sulla facciata, si formerà una patina resistente alla corrosione». In più, l’alluminio potrà essere riciclato a fine ciclo vita. Sebbene Sluishuis non galleggi, prepara gli animi a una vita sull’acqua. Big, del resto, sta lavorando all’edilizia anfibia. Sono suoi gli Urban Rigger, moduli galleggianti progettati per sviluppare case e comunità vicino al lungomare, che vogliono rispondere a questioni come la densificazione urbana o la mancanza di alloggi. Su maxi scala, la già citata Oceanix, al largo di Busan, in Corea del Sud: «Una città fatta di piattaforme modulari galleggianti, capace di ospitare più di 100 000 persone». Il comune denominatore sta nella volontà di «creare un luogo dinamico in cui pubblico e privato si fondono, formare una comunità a contatto con l’acqua, tenendo conto dei rischi ambientali».
l’arctic bath è un hotel nella lapponia svedese. galleggia d’estate e si incastra nel ghiaccio in inverno.
nel 2013 l’artista stephen turner ha lavorato con pad studio su the exbury egg.
Il bello di galleggiare
Non tutto quello che galleggia è destinato a salvare il mondo. Ci sono progetti che investigano aspetti diversi del costruire sull’acqua, da quello ludico a quello spettacolare: è anche così che si consolida l’idrofilia collettiva. Famoso, per esempio, è il caso dell’Arctic Bath, hotel super lusso aperto nel 2020 sul fiume Lule, nella Lapponia svedese. La struttura principale è costruita a forma circolare sull’acqua: galleggia durante l’estate e s’incastra nel ghiaccio durante l’inverno. Più democratico l’obiettivo del nuovo teatro di Lione: realizzato nel 2022 da Koen Olthuis – fra le altre cose cofondatore di Dutch Docklands che abbiamo citato sopra – L’Île Ô è il primo teatro galleggiante d’Europa. Proprio quest’anno, invece, è stato presentato il Crystal Lake Pavillion, nella regione delle Western Catskills dello stato di New York, firmato Marc Thorpe Design. Pensato come piattaforma per lezioni di meditazione e yoga, il padiglione è una struttura site specific sul lago, accessibile solo in barca, realizzata interamente in legno. Vogliamo poi citare due divertissement. Il primo è la wa_sauna proposta nel 2015 dallo studio Go’c di Seattle. Galleggiante, motorizzata, offre un atollo di 240 mq pensato per quei diportisti o kayakisti che vogliono esplorare i laghi di Seattle. Completata dallo studio Sandellsandberg Architects nel 2022, Big Branzino è un’altra sauna galleggiante il cui nome è un destino. «Il cliente è un imprenditore della scena tecnologica di Stoccolma», raccontano gli architetti, «e ci ha chiesto di realizzare una sauna galleggiante mai vista prima, con un forte legame con la natura». Può viaggiare a una velocità di cinque nodi. Costruita a mano presso il cantiere navale di Kungsör, in Svezia, si compone di una struttura in legno incastonata su uno scafo in acciaio di un catamarano. Vantaggi? «È più che altro divertente!» spiegano gli architetti. Meno ludica l’ispirazione che ha spinto dieci anni fa l’artista Stephen Turner, specializzato in esplorazioni artistiche di ambienti, a lavorare con i designer di Pad Studio per creare The Exbury Egg, una residenza galleggiante a forma di uovo collocata nell’estuario del Beaulieu, nell’Hampshire in Inghilterra, dove ha vissuto per un anno studiando i cambiamenti dell’ambiente circostante. «Essendo un prototipo di alloggio residenziale, non abbiamo approfondito questo aspetto», spiegano gli architetti, «Ma abbiamo scoperto che è costato come una barca di lusso». Simile nella forma, diverso negli intenti è il Salmon Eye, un centro di informazioni sull’acquacoltura galleggiante che sembra piuttosto un’installazione artistica. Si trova nell’Hardangerfjord norvegese ed è stato inaugurato a fine 2022. Il progetto è stato ideato da Sondre Eide, Ceo dell’azienda di allevamento di salmone Eide Fjordbruk, e dallo studio danese Kvorning Design, per sensibilizzare sulle acquecolture sostenibili. In ultimo, il boom delle houseboat, arrivate persino in Italia, per ora come soluzione vacanza.
ha un che di artistico il salmon eye, centro educativo dedicato all’acquacoltura
big branzino sauna galleggiante svedese progettata da Thomas Sandell e Johan Strandlund
wa_sauna sauna galleggiante dotat< di comfort e di un certo umorismo
Tutto risolto? Non troppo
Come spiega Luca Curci, «al momento non ci sono evidenze che l’architettura galleggiante sia “la” soluzione, ma gli studi condotti sulle comunità sull’acqua mettono in luce la qualità della vita, la raggiungibilità dei luoghi, il numero contenuto di abitanti». La consapevolezza del fatto che i primi esperimenti urbani non saranno alla portata di tutti c’è e anche che presenteranno degli errori tecnici che solo la pratica evidenzierà. Rimangono altrettante incognite riguardo al loro reale impatto sull’ambiente: «In questo momento i progetti sono pensati per zone strategiche come i golfi o le grandi baie, dove venti ed eventuali altre problematiche metereologiche sono minori». Impostare un dialogo con i mari e gli oceani è fondamentale non solo in superficie, ma anche in profondità: «Sono già stati progettati cementi che diventano più forti a contatto con l’acqua, grazie all’azione di particolari batteri che costruiscono una sorta di scudo, ma al momento non conosciamo l’adattabilità sul lungo periodo di quei batteri, né delle forme di vita che si svilupperanno». Stiamo assistendo a un’evoluzione nel tempo che sposta il costruire sull’acqua da forme di escapismo esclusivo individuale e collettivo a una quotidianità che per molti pare possa diventare l’unica possibile. Al momento visualizziamo i quartieri o le città galleggianti come isole all’avanguardia, che miglioreranno la qualità della vita (prima o poi) di tutti noi, sebbene il controverso caso della chiatta-ghetto Bibby Stockholm, ospitante 500 richiedenti asilo al largo della costa del Dorset, metta sul piatto interpretazioni ben più distopiche dei floating district. Insomma, una bella scommessa da più punti di vista, in uno scenario che già trova attori del settore interessati. Del resto, riflette Luca Curci, «o migriamo verso l’alto o non ci restano molte soluzioni alternative»