Davide Monteleone, la rivoluzione dell’energia che nasce dal basso
Quando il magazine Perimetro gli affidò un progetto fotografico sulla nascita delle Comunità Energetiche Rinnovabili in Italia, il fotografo Davide Monteleone decise di recarsi in Sardegna, perché lì aveva trascorso gran parte dei suoi anni da studente. Lo muoveva una suggestione: l’idea di ritrarre per immagini una comunità che rinasce oggi, con obiettivi diversi, negli stessi luoghi dove avevano visto la luce antiche comunità. Forte di illustri collaborazioni, come il National Geographic e di precedenti esperienze nel documentare la transizione energetica, nel novembre 2022 Davide si reca a Villanovaforru e a Ussaramanna, due piccoli comuni del Medio Campidano, luoghi dell’antica civiltà nuragica, dove erano state realizzate due tra le prime Cer italiane grazie al coordinamento della cooperativa “ènostra”. Le amministrazioni comunali avevano scommesso su questo modello di autoconsumo collettivo per combattere la povertà energetica e lo spopolamento.
© Davide Monteleone
Del parallelismo tra le comunità del passato e quelle del presente Davide ha fatto la sua chiave di lettura, interpretando gli impianti fotovoltaici, i luoghi e le persone come diversi elementi di un territorio che si rende protagonista di una rivoluzione dal basso: «C’è un legame tra quello che sta succedendo con le comunità energetiche e la storia di questi paesi, dove il senso di comunità, presente sin dall’antichità, non è mai cessato. I villaggi nuragici si organizzavano per rispondere alle esigenze del momento e oggi, questa, è l’autonomia energetica». Gli esempi di Villanovaforru e Ussaramanna non sono isolati. Nonostante la normativa non abbia concluso il suo iter e gli incentivi – mentre scriviamo – ancora non esistano, i progetti nascono ovunque, dal Trentino (la prima Comunità Energetica della provincia, realizzata per i 51 abitanti del borgo montano di Riccomassimo, è del 2021) fino alla Sicilia (dove ben 300 comuni riceveranno i fondi di un bando regionale). A una Cer possono partecipare persone fisiche, imprese, amministrazioni locali, enti religiosi, enti di ricerca, terzo settore: bisogna dar vita a un soggetto giuridico senza scopo di lucro, come un’associazione o una cooperativa, e avere a disposizione un’area dove realizzare l’impianto per la produzione di elettricità (può trattarsi di fotovoltaico o di altre rinnovabili).
© Davide Monteleone
© Davide Monteleone
© Davide Monteleone
La condizione tecnica è che gli utenti siano connessi alla stessa cabina primaria, ossia la cabina di trasformazione da alta a media tensione. Circa un anno fa, secondo Legambiente, si contavano già un centinaio di comunità presenti nella Penisola, tra operative e in fase di avvio. L’obiettivo nazionale, però, è più ambizioso e prevede di dar vita a 20 000 aggregazioni nell’arco di quattro anni. Ci si arriverà? Difficile prevederlo. Certamente l’opportunità di risparmiare sulle bollette (non di azzerarle) e di incassare gli incentivi che lo Stato metterà a disposizione per 20 anni per ogni kilowattora di energia prodotto e consumato all’interno delle Cer, è stimolante. Non solo, perché la quota di energia non autoconsumata potrà essere venduta in rete generando ulteriore reddito da distribuire alla comunità. Elementi di forte appeal, questi, tanto che secondo un’indagine Ipsos-Fondazione Symbola del 2023, il principale vantaggio citato nel partecipare a una Cer (26% delle preferenze) è proprio quello economico, insieme con l’orizzonte dell’indipendenza energetica.
© Davide Monteleone
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La transizione ecologica figura invece come terza opportunità (23%, in crescita rispetto al 2022). Vantaggi economici e ambientali, dicevamo, ma anche sicurezza energetica ed efficienza del sistema elettrico, perché, come suggerisce Domenico Sturabotti, direttore della Fondazione Symbola, «proprio come accade nel regno vegetale dove esiste un’intelligenza diffusa, con un modello di energia distribuita la rete è più flessibile e adattiva e si evitano le dispersioni che si verificano quando la produzione è lontana dall’utilizzo». Resta aperto il problema dei finanziamenti. Per realizzare una Cer servono investimenti ingenti e non sempre (o quasi mai) i soggetti che partecipano “dal basso” hanno risorse sufficienti. Accanto alle imprese e alle amministrazioni locali che sfruttano appositi bandi (anche quelli del Pnrr che erogherà 2,2 mld di € ai Comuni sotto i 5 000 abitanti), si stanno muovendo i player dell’energia che sanno gestire la complessità dell’autoconsumo su larga scala e che si fanno carico di realizzare la Cer aggregando, da capofila del progetto, i diversi partecipanti. Intendiamoci: i vantaggi per i cittadini e i territori rimangono, ma forse quell’idea di rivoluzione dal basso è più simile a una nuova configurazione del mercato che vede gli operatori “costretti” a giocare con altre regole e dove le Cer rappresentano l’opportunità di una redditività diversa rispetto a quelle ordinarie. Conviveranno più modelli e – assicura Sturabotti – ci saranno comunque quelli che saranno capaci di tutelare le esigenze dei cittadini.