Cos’è il foraging, la raccolta di erbe spontanee commestibili
Foraging is an apocaliptical skill” – il foraging è un’abilità tipica delle fasi apocalittiche: così Eleonora Matarrese, autrice di La cuoca selvatica (Bompiani) e fondatrice a Monza del primo laboratorio gastronomico basato sulle erbe selvatiche, decifra la dilagante mania per il foraging (la raccolta di erbe spontanee commestibili). Infatti, se è vero che «raccogliere è nel nostro Dna e fino all’industrializzazione e al successivo inurbamento è stato il mezzo con cui procurarsi un pasto quotidiano», negli ultimi due anni sono stati i lockdown pandemici (quando le passeggiate individuali sono rimaste tra le poche attività permesse) ad avere spinto sempre più persone a esplorare i dintorni di casa e così a notare, per la prima volta, la ricchezza botanica di prati e boschi limitrofi. Non a caso, secondo il rapporto annuale Waitrose Food and Drink, la tendenza foraging ha aumentato la sua popolarità nel biennio 2020-2021. E l’interesse per il tema registrato sui social nell’ultimo anno (+ 89%) ha già incoronato un’apposita star: Alexis Nikole Nelson, 2 milioni di follower su TikTok e quasi 700 mila su Instagram, grazie alle “lezioni” sulla lattuga di mare o sul trifoglio. Non è strano allora che, nella fase in cui tutti passavano la maggior parte del tempo chiusi in casa, a Pikniq, la società di Matarrese, siano pervenute tantissime richieste di “wild box”, cioè scatole di erbe spontanee, in particolare dalle grandi città. «Questo perché da un lato, anche se blindate, le persone volevano scoprire sapori nuovi e utilizzare gli ingredienti secondo il proprio gusto, preparando dalle tisane al pesto; dall’altro, perché la riscoperta della cura di sé ha convinto molti a sperimentare le straordinarie proprietà curative delle erbe. Basti pensare che lo spinacio selvatico contiene otto volte più ferro di quello normale, e le conifere venti volte più vitamina C degli agrumi»
Sulle pizze gourmet finiscono prodotti autoctoni come corla, sedano di montagna e stridoli.
Dylan Tripp, flower designer. (sinistra) La pizza speciale di denis lovatel (destra sopra) Selvatiq è il brand di drink naturali creati da botaniche selvatiche (destra sotto)
«Non siamo più noi a decidere cosa e quando fare un certo piatto, ma la natura»
L’interesse salutista, per di più, sembra saldarsi con motivazioni ecologiste: come ha scritto il Financial Times, la curiosità per queste piante locali può essere letta sia come reazione ai danni alla salute provocati dal cibo industriale, sia come rimedio ai problemi ambientali causati dall’importazione di cibi esotici. E così, se in libreria approdano pubblicazioni come Cucinare il giardino (Giunti) di Valeria Mosca, che spiegano come valorizzare a tavola le piante “local”, da nord a sud di Italia fioriscono – è il caso di dirlo – i corsi per riconoscere le piante edibili: da quelli guidati da un etnobotanico alla Scuola del verde di Roma a quelli chic dell’hotel Dandelion di Como, fino al floral retreat con momenti di foraging nelle campagne toscane, proposto dal flower designer Dylan Tripp. Dal canto loro, gli chef da tempo hanno fatto propria l’idea di usare le erbe spontanee, perché in esse sono intrinseche tanto la stagionalità quanto la tipicità locale. Per di più, non potendo essere gustate al di fuori di un certo momento dell’anno e di un certo territorio, queste specie autoctone sono adatte all’alta cucina: in fondo rappresentano quanto di più esclusivo possiamo trovare nel piatto. Certo, l’eliminazione dei prodotti da serra in cucina ha delle controindicazioni: «Non siamo più noi a decidere cosa e quando fare un certo piatto, ma la natura», spiega Norbert Niederkofler. Al St Hubertus di San Cassiano (Bz), 3 stelle Michelin, ogni degustazione è il punto di approdo di un grande lavoro preparatorio predisposto dallo chef, che inizia sei mesi prima con una lista di ingredienti da reperire e prevede almeno due ore di raccolta quotidiana di prodotti boschivi. In estate si raccolgono aglio orsino e pigne di larice, in autunno funghi, bacche di ginepro e mirtilli rossi, ma siccome in natura possono succedere imprevisti, per gestirli è ugualmente richiesta la bravura degli chef. Dall’alta cucina, poi, il foraging sta tracimando sulla pizza gourmet: Angelo Rumolo, anima di Le Grotticelle a Caggiano, propone la pizza Condrilla, fatta cioè con la corla, nome dialettale della Chondrilla juncea, una pianta autoctona dal sapore leggermente amaro che Rumolo ha conosciuto da bambino. Da Denis Lovatel, anima della Pizzeria Da Ezio ad Alano di Piave e per la seconda volta vincitore del premio per la Pizza dell’anno della Guida del Gambero Rosso, sulla pizza finiscono prodotti spontanei come il levistico (sedano di montagna), i carletti (stridoli), l’ossalide. «15 anni fa circa, quando ho iniziato a fare qualcosa di ricercato, ho cominciato a usare prodotti Slow Food e chicche come il capocollo di Martina Franca», racconta Lovatel. «Poi un giorno mi sono chiesto: ma perché devo proporre ingredienti pugliesi, quando qui ho un territorio da raccontare? In un’ora posso essere a 2 500 metri, a piedi arrivo tranquillamente a 1 500 metri e trovo tutto quello che mi serve». In Friuli, il foraging ha conquistato il pane: merito di Stefano Basello, che, recuperando una tradizione quasi scomparsa, lo impasta con le farine “di sussistenza” della tradizione montanara, ricavate da licheni e corteccia interna di abete rosso e bianco, mentre da poco è nata una linea di bibite in lattine, Selvatiq, ricavata da specie botaniche invasive.
Dal prato al piatto: il foraging è sempre più popolare
Sarà pure un’abilità delle fasi apocalittiche, ma grazie al suo rispetto per l’ambiente, al recupero della tradizione e ai benefici per la salute, il foraging si va imponendo quindi come “il” paradigma del nuovo modo di consumare. La consapevolezza green non è mai stata così… spontanea. Fuori dalla porta di casa c’è un mondo sconosciuto e affascinante, uno scrigno accessibile di erbe e radici, semi e cortecce. In Cucinare il giardino (Giunti), Valeria Margherita Mosca, ricercatrice, guida escursionistica ambientale e forager, ci accompagna tra cortili, giardini e parchi, anche urbani, alla scoperta della sorprendente varietà di ingredienti vegetali da portare sulle nostre tavole. Il ricettario, con sessanta preparazioni stagionali, è arricchito da schede botaniche e indicazioni sulle tecniche
di raccolta, a portata di tutti.
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