Alla Galleria Borghese va in scena l’arte totale
Nella sala di Apollo e Dafne, un ramo d’oro e foglie di alloro fanno risuonare una conoscenza mitologica e silvestre, le pareti sembrano respirare e tutta la scena immaginata dal Bernini si fa ancora più reale: sentiamo l’ambiente che avvolge la ninfa mentre sfugge al dio, un attimo prima di suggellare con la metamorfosi il suo patto con la natura; un patto di rinuncia, ma anche di più vasta armonia. Siamo alla Galleria Borghese di Roma, dove le sculture classiche, e con esse l’intero museo, compreso il giardino, sono state messe in dialogo con il lavoro di Giuseppe Penone, lo scultore degli alberi e della ricerca tra la natura e l’artefatto. La mostra, curata con la consueta eleganza intellettuale da Francesco Stocchi, s’intitola Gesti universali e si inserisce nell’indagine sul rapporto tra arte e natura portato avanti dalla direttrice della galleria, Francesca Cappelletti. Con l’idea non di proporre un confronto tra sculture classiche e contemporanee, ma soprattuto di giocare sul reciproco riflesso, sul completamento sottile tra gli elementi negli spazi.
Giuseppe Penone. Gesti universali, Installation view ph. S. Pellion © Galleria Borghese
Giuseppe Penone. Gesti universali, Installation view. ph. S. Pellion © Galleria Borghese
Ci ha spiegato Penone: «Ho provato a contrapporre l’idea di azione della natura a quella di azione dell’uomo, come c’è stata anche all’interno dell’edificio, che rappresenta la natura nella forma architettonica e del decoro». E quindi nelle quattro sale del museo l’artista piemontese ha portato gli elementi naturali, a partire dai suoi celebri alberi (che accolgono i visitatori nel Salone d’ingresso) per arrivare alle foglie e al respiro che, nella Sala degli imperatori, si muove all’unisono con quello di Proserpina, nel momento in cui Plutone affonda le mani nella sua carne marmorea. Anche qui, come per Apollo e Dafne, è come se le sculture trovassero una sponda, un’amplificazione, nel rapporto con l’idea di natura di Penone, che vivifica, espande, cambia la prospettiva delle stanze e del racconto culturale che dentro di esse viene portato avanti da secoli: «Ho usato l’azione della scultura per conoscere la materia e conoscere la realtà, ed è in quel senso che ho lavorato, per seguire lo stimolo di meraviglia della conoscenza. Che nell’arte è soprattutto la meraviglia della materia e dell’azione che poi la compone». In un certo senso, quello che accade nelle sale del museo è il ricomporsi di un paesaggio complesso, è l’introduzione di elementi di incertezza nel grande trionfo barocco, o, meglio, la rivitalizzazione di tutte quelle inquietudini che sono presenti da sempre nelle opere della Galleria Borghese (basti dire il nome di Caravaggio, per esempio), ma che, di fronte a tanta magnificenza nella traduzione dei codici del mito e dell’umano, abbiamo forse smesso di cercare. Ora tornano in primo piano, perché in fondo sono il polmone che permette alla cultura di continuare a vivere.
Dice la direttrice Cappelletti: «Per noi questa mostra ha rappresento una grande possibilità di espressione nell’oggi, attraverso una tensione gentile che si è creata nella Galleria grazie alle opere di Penone e che ci accompagna nel tracciare una linea continua tra il patrimonio, il mondo dei musei e l’arte contemporanea. A definire una conoscenza che si estende in profondità». E la profondità è anche quella che contraddistingue la relazione tra l’intervento di Penone e gli spazi del giardino della galleria romana, dove in qualche modo si ribaltano i termini del dialogo tra classico e contemporaneo, così come profonda è la riflessione curatoriale di Stocchi: «Intervenire con coscienza all’interno della Galleria Borghese è anche un esercizio di responsabilità, e con Penone questa responsabilità ha preso forma attraverso delle scelte mirate a un dialogo che voleva sottolineare gli aspetti immutati nei secoli della scultura classica rispetto a quella contemporanea». Il tutto partendo da un’idea di arte che potremmo definire “totale” o – forse meglio, dato anche il contesto di relazione filosofica con la natura – “panica”. «L’arte contemporanea non è ancora passata all’esame del tempo», aggiunge Stocchi, «ma in realtà è parte dello stesso organismo dell’arte classica. Questa mostra vuole proprio sottolineare questo senso di continuità. Le mode, le tecniche e gli stili cambiano, ma le intenzioni e il problema dell’arte rimangono sempre gli stessi».
Giuseppe Penone. Gesti universali, Installation view, Sala degli Impertaori. ph. S. Pellion © Galleria Borghese
In questa atmosfera che ricorda il pensiero del filosofo olandese Spinoza (che parlava di natura naturans, ossia la natura come forza creatrice, e natura naturata, cioè le sue manifestazioni, quindi il mondo) il lavoro di Penone appare ancora più intenso, così come si moltiplicano le suggestioni ispirate dal dialogo con le sculture classiche. Dialogo che, nel giardino delle Galleria, porta a due ulteriori sviluppi della mostra. Il primo è il ribaltamento della dinamica interna al museo, perché dove la natura è già viva e “naturante”, l’artista ha portato opere di bronzo, come i Gesti vegetali, che interagiscono con l’elemento naturale e da questo si fanno avvolgere, abbracciare, perfino guidare. Il secondo è il completamento del processo di innesto che crea un unico organismo espositivo e intellettuale, particolarmente importante in un’epoca di scontro frontale tra l’antropizzazione e le natura. Per questo, assume ancora più forza il grande tronco che attraversa in orizzontale il Giardino della Meridiana: la sua posizione – che non si erge, ma collabora con il livello del suolo, ossia quello dove si svolge la nostra vita, come biosfera – è fondamentale, così come fondamentale è il percorso che si può intravedere osservando la sua profonda cavità dorata. Ci sono stacchi, fratture, imperfezioni e difficoltà, ma rappresenta la metafora di una strada possibile verso una riconciliazione con la natura che posi su basi diverse, ibride e consapevoli. Come l’arte di Penone qui mostra di saper essere.