Hybrid Home, la rivoluzione domestica della casa del futuro
Il simbolo della casa del futuro l’abbiamo visto a Edit Napoli 2020, l’ultima edizione della fiera del design innovativo che si tiene nel capoluogo campano: è una stanza erratica, che come una scatola magica s’installa dove vuoi per diventare quello che desideri, quando lo desideri. È stata battezzata Cabanon, in omaggio a quello che nel 1951 l’architetto Le Corbusier progettò per il giardino del suo buen retiro provenzale: uno spazio di soli 14 mq, in legno, a pianta quadrata, regalo di compleanno per la moglie Yvonne, progettato secondo i principi del suo Modulor, il metodo di progettazione ispirato alla proporzionalità “perfetta” dell’uomo vitruviano.
La casa del futuro
Con i suoi spazi ridotti all’essenziale, “il capanno” (questo significa, in francese, cabanon) fu collocato a Roquebrune-Cap-Martin, in Costa Azzurra. Da allora, di anni ne sono passati 70, ma Stefano Sciullo e Irma Cipolletta, aka Duilio Secondo Studio (vedi scheda a pp. 93), ne ripropongono una versione aggiornata, nomade, su ruote e ancora più essenziale, che sembra simbolicamente racchiudere la rivoluzione domestica contemporanea. Si tratta di un microcosmo più micro che mai: una curiosa scatola da 0,8 m3, che una volta aperta contiene abbastanza spazio per accogliere scrittoio, sedia, tavolino e letto. Immaginatevi di voler (o dover) lavorare o anche schiacciare un pisolino, in un posto diverso: sarà la casa ad adattarsi alle nostre esigenze, non il contrario.
Ma come ce la immaginiamo? Come è oggi, con in più qualche effetto domotico qua e là? O tecnologicamente esasperata, come se dovessimo vivere in una puntata di Black Mirror o su un set di Alex Garland? Jeff Bezos, in fondo, ci ha già provato: vuole sostituire lo sguardo un po’ sornione del nostro cane, con l’occhio infallibile del suo drone domestico scovaintrusi. Anche noi, però, abbiamo posizionato l’occhio verso il futuro. E, stanza dopo stanza, lo abbiamo visto così.
La rivoluzione domestica dell’Hybrid Home
È forse giunto il momento di reinterpretare il fascino dell’open space. Cucina, soggiorno e sala da pranzo in un unico ambiente, all’americana o integrati tramite eleganti isole, sono stati per anni il simbolo della modernità. Per gli appartamenti dalle metrature contenute, annullare le divisioni nette tra gli ambienti optando per spazi aperti è una scelta ragionevole, il vantaggio è quello di rafforzare l’idea di ampiezza. Ma se è vero che la pandemia ha cambiato le nostre abitudini, una volta che l’avremo debellata, c’è da chiedersi se continueremo a impastare, coccolare lieviti naturali, infornare pizze e spadellare ai fornelli come abbiamo fatto in tempi di lockdown. La cucina a vista porta con sé una serie di inconvenienti: disordine, odori che si diffondono per tutta casa, mixer, macchina del caffè, macinacaffè, frullatori e impastatrici assordanti e chi più ne ha più ne metta. Qualcuno, a questo punto, potrebbe optare per una scelta più funzionale dove gli ambienti diventano open space solo all’occorrenza.
Cucine realizzate con tecnologia di taglio al laser
C’è chi propone cucine in acciaio inox modulari e personalizzabili, per esempio, realizzate con tecnologia di taglio al laser e piegatura della lamiera da spostare e modificare agevolmente anche successivamente nel tempo, in base ai cambiamenti domestici. Oppure, una cucina ben celata da sistemi di ante direttamente integrati nella boiserie. O ancora: preziosi moduli in pietra di altezze diverse che consentono soluzioni pressoché infinite, da modificare a proprio piacimento nel corso del tempo. In fondo, se una cucina è per sempre, abbiamo tutto il diritto di poterla riconfigurarla quando vogliamo, a costo di dover usare una gru. Intanto il dibattito su “cosa mangeremo in futuro” si sta facendo sempre più acceso, tra orti e fattorie urbane, trend healthy e nuove abitudini culinarie e gastronomiche rigorosamente sostenibili. Alzi la mano, d’altronde, chi non sogna meno allevamenti intensivi (ed epidemie).
Ambienti e arredi “mutaforma”
Spinti da presenze più prolungate e necessità sempre più dimaniche, gli spazi, come fisarmoniche, potrebbero espandersi e contrarre a seconda delle nostre necessità. E gli interni diventare sempre più ecologicamente virtuosi: materiali sostenibili, sistemi di coibentazione termica, fotovoltaico, pochi sprechi e tutto il resto. L’architetto e ingegnere Carlo Ratti, tra le altre cose direttore del Mit Senseable City Lab, suggerisce di riprendere l’idea di Existenzminimum – gli standard minimi dell’abitare: «Si tratta di un concetto risalente agli Anni 20 del Novecento, sancito persino dalla costituzione dalla Repubblica di Weimar, che proponeva di fornire a tutti i cittadini un’abitazione dotata di sufficiente spazio e aria pulita, nonché accesso al verde e ai trasporti pubblici». Utopia sociale datata o un segnale di un futuro più solidale? Vedremo. Ma c’è un altro punto da tenere a mente: sono le nuove consuetudini domestiche e lavorative. A questo punto è legittimo domandarsi quali sono i pezzi che proprio non possono mancare nel soggiorno del futuro, se ce ne sono. Ecco allora avanzare un esercito di arredi e accessori “mutaforma” capaci ci cambiare identità, all’occasione, assecondando i nostri bisogni. Viene in mente una postazione di lavoro equipaggiata con batteria ricaricabile e prese Usb che si converte in un modulo di servizio dove riporre gli oggetti così da avere tutto in ordine.
«Una libreria sempre mutevole, sempre diversa»
La designer spagnola Patricia Urquiola, ormai italiana, anzi milanese, di adozione, si spinge ancora più in là, vagheggiando tavoli trasformabili che cambiano forma e funzione in base agli orari della giornata: di mattina desk per la postazione di lavoro, tavolo da pranzo a mezzogiorno e spazio di sperimentazione nel tempo libero, e persino «una libreria orizzontale con i contenuti della nostra giornata, sempre mutevole, sempre diversa, integrata con una sorta di consolle capace di ricevere, ordinare, fornire informazioni attraverso un pannello digitale, una lavagna elettronica, con la stessa semplicità e intuitività di un tablet, ma dalle grandi dimensioni». Un futuro meno distopico del nostro immaginario hollywoodiano, insomma, liberato da ologrammi e automi che s’impadroniscono del soggiorno, ma non meno funzionale. Magari anche attraverso la reinterpretazione di ironici manubri, dischi e altri attrezzi da allenamento come oggetti di arredo, in pietra o marmo, capaci con la loro elegante presenza in giro per casa di ricordarci durante le conference call come le opportunità di allenarsi senza muoversi dal soggiorno oggi siano ormai molteplici. E via a correre La Vuelta de España in indoor-cycle, in attesa di città libere da auto inquinanti.
Spazi ibridi, indoor e outdoor
Esterni e interni sono sempre più separati da simboliche porte girevoli. La parola d’ordine è ibridazione. L’outdoor come prolungamento dell’ambiente domestico, indoor infiltrato e colonizzato dall’ambiente esterno che, demineralizzato, sotto forma di giungla in serra, foresta o campagna urbana ripopola il nostro habitat. L’importanza delle piante come modello da imitare nell’organizzazione dello spazio, nei rapporti umani, nell’uso delle energie, come ci ricordava nel 2019 in occasione della XXII edizione della Triennale di Milano il neurobiologo Stefano Mancuso, direttore dell’International laboratory of plant neurobiology.
Durante i giorni di quarantena abbiamo imparato ad apprezzarne il valore: balconi, terrazze, verande sono divenuti i luoghi più importanti della casa, ci hanno concesso un po’ di sollievo all’aria aperta e, a volte, regalato scorci privilegiati. E per qualcuno si sono trasformati in piccoli solarium en plein air. A questo punto non può mancare un divano da esterno modulare per personalizzare gli ambienti con composizioni adatte a tutte le metrature. Se poi qualcuno volesse anche dedicarsi a preparazioni gourmet ardite, vale la pena attrezzarsi con una cucina per esterni in cemento di ultima generazione, ossia ad alte prestazioni ma anche sostenibile. Urquiola spinge la riflessione fino a ricomprendere la ventilazione incrociata e l’uso del verde per migliorare la qualità dell’aria e regolare il controllo della temperatura, sfruttando la capacità delle piante di fornire energia, ossigeno, filtrare aria e acqua.
«Lampade per la fotosintesi, macchine ossigenanti, piante antismog, orti idroponici. Energia da biomasse. Attraverso la biotecnologia potremmo avere tessuti e materiali per l’interno naturali, ma ad altissime prestazioni, come divani che filtrano l’aria, tappezzerie insonorizzanti o boiserie termostato, che tolgono o aggiungono calore e umidità». E chissà se tra cento anni non ci troveremo a cambiare il divano o la tappezzeria come oggi si cambia il filtro dell’aria dell’automobile.
Il trionfo dell’hot-desking
I dipendenti di Twitter possono scegliere di lavorare da casa: per sempre. Google e Facebook punteranno sul lavoro remoto almeno per tutto il 2021. Insomma, lavorare da casa per lunghi periodi è già diventata una consuetudine, divisi tra l’opportunità di dedicare più tempo a se stessi e alla propria famiglia e rischio di alienazione sociale, sessioni di Excel alternate a partite di Fifa 2020 e videocall assediati dalla prole. A chi dovesse mancare la vita da ufficio, i creativi tedeschi di Kids hanno messo a punto I miss the office (imisstheoffice.eu): un “intonarumori” digitale dall’eco futurista con tutto il repertorio a corredo: dalle dita che battono sulla tastiera, al ronzio dell’aria condizionata. Più seriamente, Urquiola propone di configurare l’angolo lavoro non come il lato B, perdente, dell’ufficio, ma come «vero e proprio ufficio domestico, con il giusto compromesso tra calore e morbidezza. Per chi non ha lo spazio necessario, dobbiamo pensare ancora una volta ad arredi multitasking ed ergonomici».
Dovremo essere più flessibili, infatti, passando meno ore in ufficio, secondo il modello dell’hot-desking. Non fatevi strane idee, però: stiamo parlando di postazioni a rotazione, non di prestazioni. Di conseguenza, «diventeranno sempre più importanti le tecnologie di sanificazione automatica», spiega Carlo Ratti, che di recente ha progettato gli uffici post-covid per la nuova sede del Gruppo Sella a Torino: «Un sistema di illuminazione Uv-C permette di sterilizzare le scrivanie dopo ogni utilizzo, mentre una smart-window con filtro elettrostatico e recuperatore di calore permette di gestire in maniera sicura i ricambi d’aria». Un passo in questa direzione è rappresentato dalle tecnologie che oltre a illuminare secondo i ritmi della giornata sanificano l’ambiente: la luce visibile inibisce lo sviluppo e la crescita di batteri, funghi e muffe mentre quelle Uv deattivano i microorganismi patogeni, virus compresi. Alla faccia del lockdown. E se online la nostra privacy è sotto attacco, a casa nostra possiamo conquistare un po’ di intimità aiutandoci con paravento mobili e modulari equipaggiati di ruote e fonoassorbenti. Così da tenere lontani rumori e occhi indiscreti.
È tempo di privacy 4.0
Forse è arrivato il momento di un po’ di relax e privacy, gente. Abbandoniamo per un attimo la galoppante (chissà poi dove?) digital transition: computer, smartphone, digital assistant e ogni sorta di altra importuna diavoleria hi-tech. Onde cercare di sfuggire alla pericolosa sindrome da scrolling notturno, ci soccorrono letti con comodini integrati nella testiera: tre pannelli disallineati che offrono compartimenti dove riporre agenda, documenti, tablet e così via tenendoli a portata di mano, ma precauzionalmente alle nostre spalle, per non indurci in tentazione. Si spera: perché le nostre camere non saranno più soltanto ambienti destinati al meritato sonno, ma spazi dove, dallo sport alla meditazione, alla lettura, ci prenderemo cura di noi.
Qualche esempio? Un desk polifunzionale dotato di piani in legno, cassetto, supporto reggilibri in lamiera laccata e una tasca laterale in cuoio. Per spazi ridotti meglio uno scrittoio in legno con parete vetrata, da chiudere a tripla mandata a fine giornata, accompagnato da una seduta ergonomica e magari da una lampada portatile ricaricabile. In fondo, va bene la vita smart e tutto il resto, ma ogni tanto una tregua ce la dobbiamo pur concedere. Il rischio che corriamo è quello di trasformarci alla prima luna piena in workaholic: esseri metà umani, metà animali in perenne fame di lavoro, altamente performanti, sì, ma in perenne crisi d’astinenza da tempo libero.
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