Quartieri di Parigi: occhi puntati sul nono arrondissement
Il cuore pulsante della notte, ecco la reputazione di cui gode il nono arrondissement da svariati lustri. Delle notti, si dovrebbe dire. Le notti delle lorettes, le donne mondane d’altri tempi che gravitavano nel XIX secolo attorno alla chiesa di Notre-Dame-de-Lorette e ai locali da rimorchio di Pigalle e ai sexy shop. Le notti dei cabaret a non finire, al punto che una vedette del music hall, la musa transgender Coccinelle, ha dato il nome al viale alberato che corre dal 2 al 16, boulevard de Clichy. Le notti (e le mattine) anche degli habitué dei club degli Anni 2000, che facevano capo al dance floor appiccicoso del Folies Pigalle per un after prolungato. Notti più o meno gioiose che Marguerite de Rochechouart o Catherine de La Rochefoucauld, le nobili badesse del XVIII secolo che hanno dato nome (e cognome, dal 2019) alle vie del quartiere non avrebbero potuto immaginare senza orrore.
Nono arrondissement di Parigi: cosa fare e cosa vedere
Il 9° arrondissement, del resto, va alla grande. È cresciuto di livello, passando dai 2 500 € al mq nel 2000 ai quasi 12 000 di oggi e, nello stesso tempo, ha abbassato di un tono il suo proverbiale fracasso. «Quello che amavo nel 9°, del resto, erano i rumori», ricorda nostalgico Jalal Aro, fondatore del Phono Museum, rue Lallier, consacrato alla storia del suono. E aggiunge: «Il rumore dei nottambuli, il rumore dei musicisti, che suonano la batteria un po’ qui un po’ là. Ma oggi, con le cifre che sborsa la gente per vivere qui, chi accetterebbe ancora quel baccano?». Del resto, la calma qui non ha niente di compresso, come capita a volte nelle periferie ovest della capitale. Questa calma si rivelerà piuttosto ridente quando ozierete in qualche bar all’aperto di piazza Gustave-Toudouze o quando alzerete il naso verso la bellezza haussmanniana dell’avenue Trudaine.
Una Parigi, insomma, estatica da cui ci si lascerà affascinare. «A volte, ci fanno la caricatura», si diverte la trentenne Olivia de Fayet, ex di Christie’s e cofondatrice di Wilo & Grove, galleria specializzata in opere d’arte a prezzi abbordabili: «Comprate due polli in rue de Martyrs e ve la caverete facilmente con 90 €!». Ah! La rue des Martyrs… La colonna portante dell’arrondissement è diventata talmente desiderabile che alcuni le hanno affibbiato di soprannome “SoPi”, che sta per “South Pigalle”, come se si trattasse di un quartiere newyorkese. Allora, come a Soho o NoLIta, i marciapiedi brulicano di una folla di borghesi ad alto potere di acquisto che passeggiano allegramente davanti ai negozi alimentari specializzati. Per il pollo arrosto di lusso si andrà da Plume. Una voglia improvvisa di meringa? La Meringaie è il non plus ultra. Mentre la gastronomia Kaviari centra il bersaglio dell’affumicatura e delle conserve di pesce. La Parigi del buon gusto e dei palati raffinati ha sicuramente trovato casa.
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Amour, un “love hotel” inaugurato nel 2006.
Playground d’arte al Pigalle duperré court.
Un’architettura sulfurea
Commercio di…, agenzie immobiliari… Si potrebbe credere che il nono arrondissement pensi solo ai soldi, una Parigi in cartolina. Ma non è così. Perché la storia sulfurea del quartiere ha lasciato impronte indelebili sui luoghi. Al n° 9 di rue de Navarin, la facciata è stata ornata da bassorilievi neogotici, un’estetica “segreta” che lascia trasparire la precedente natura del palazzo: un club sadomaso chiamato Madame Christine. Quanto alla facciata da Alice nel paese delle Meraviglie di Chez Moune, al n° 54 di rue Pigalle, ci racconta gli Anni 50, quelli dell’emancipazione in cui la pioniera Moune Carton organizzava incontri di tè e di danza per lesbiche. Esiste poi tutta un’architettura dei festini e del desiderio. Chez Moune, d’altronde, ha avuto un secondo momento di gloria negli Anni 2000-2010, quando la gente nel mondo della moda vi festeggiava il suo compleanno e la Parigi di tendenza trascorreva i suoi sabato sera sulla sua piccola pista da ballo.
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La gentrificazione ha colpito anche questo quartiere di Parigi
Così, poco a poco, l’eredità controversa del quartiere è diventata una faccenda di marketing. Come quando nel 2006 è stato inaugurato l’hotel Amour: un “love hotel” in stile giapponese che propone camere a ore, riuscendo a rendere accattivante anche la fascia dalle 5 alle 7 del mattino; e che, quattordici anni dopo, è ancora in auge. Il suo splendido patio è stato scelto dai rappresentanti dei media come luogo feticcio per i pranzi estivi. Sì, si chiama gentrificazione. Ma poiché tutto torna, il quartiere ha ritrovato la sua posizione, certo più controllata di un tempo, sulla mappa della Parigi notturna. Al punto che, prima che subentrasse la pandemia, l’incrocio tra rue de Douai e rue Pierre-Fontaine era gremito da nottambuli e il bar-club Carmen, ex hotel particulier di Georges Bizet, pullulava di gente fino alle ore piccole. Il fiorista Pierre Banchereau, proprietario di un negozietto arty in rue Henry-Monnier, lo testimonia: in tempi normali, quando torna all’alba da Rungis, incrocia nel quartiere montagne di mozziconi e orde vacillanti. Il nono arrondissement, non c’è da temere, è ancora vivo.
Hôtel Rochechouart
Era il punto di raccolta, negli Anni
20 e 30, delle vedette del music hall.
Si chiamava Hôtel Charleston e aveva Joséphine Baker o Maurice Chevalier tra i suoi aficionados.
Di quell’epoca restano i mosaici
del ristorante, mentre un rooftop consente la visione panoramica
di Parigi.
55, boulevard Marguerite-de-Rochechouart
Tel. +33 (0)1 42 81 91 00
hotelrochechouart.com
Mi Kwabo
Nelle cucine: Elis Bond, chef guyano-haitiano con una fulgida immaginazione. In sala: Vanessa, sua moglie, di origine franco-beninese, che vi racconta con passione gli ingredienti. Insieme, creano ponti sorprendenti tra le Antille e l’Africa passando per la Francia: pithiviers con patate dolci e finferli, Saint-Jacques ai gombi, il tutto condito da una convivialità che non smentisce il nome del luogo, dato che mi kwabo significa “benvenuti” in fon-gbe, la lingua parlata in Benin.
42, rue Rodier
Tel. +33 (0)7 64 05 69 32
Mi_Kwabo