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Il gusto del sacro. Chef che guardano oltre

Quando Pietro Leemann, chef del primo ristorante vegetariano stellato d’Europa (il milanese Joia), ha annunciato di lasciare, avrebbe potuto non essere una sorpresa. Burn out, stanchezza, voglia di affrontare nuove sfide professionali sono all’ordine del giorno nell’alta cucina. Leemann, però, non si congeda dal Joia per andare in pensione ai Caraibi o aprire a un piano alto di un grattacelo di Dubai, ma per fondare una comunità spirituale Krishnaita, nel suo Ticino. Noto per piatti come Paesaggio interiore (medaglioni di grano saraceno con zucca, cavolfiori e cavolo rosso) o Una porta per il paradiso (uovo di farina di piselli con emulsione di parmigiano, friggitello e sorbetto al timo), Leemann – che affida il Joia nelle mani dei suoi due sous chef –non abbandonerà i fornelli. Raxa (“autenticità” in sanscrito), il tempio di Centovalli al via nel 2025, avrà infatti un ristorante in cui si farà una “cucina dei templi”, ha rivelato lo chef a Cook, dove il cibo sarà accompagnato da un’esperienza, da un insegnamento, da una ritualità. Che cosa sta succedendo agli chef? Leemann, certo, non è il classico personaggio Tv in casacca, ha sempre seguito la sua strada lavorando con vegetali e biologico in tempi davvero non sospetti (ha aperto nel 1989). Ma anche altrove l’onda della spiritualità in cucina sta dilagando. C’è chi segue l’astrologia, chi si rifà alla cartomanzia, chi evoca l’esoterismo o guarda a una presupposta età dell’oro quando i celti costruivano calendari solari e facevano foraging nella foresta, in intima e perfetta consonanza con la natura e il cosmo. Può essere un modo per dare un senso a un periodo storico complesso, ma anche per cercare un angolo di respiro e riconnessione al sé nel contesto di un lavoro, quello dell’haute cuisine, particolarmente stressante e impegnativo per ritmi e tempi di lavoro e necessità di stare sulla cresta dell’onda. Il lusso, si sa, logora chi non ce l’ha, ma pure chi ci lavora. Vien da pensare che dispensare pietanze che nutrono il corpo e massaggiano i sensi più materiali abbia poco a che fare con lo spirito. In realtà, tra anima, religione e alimentazione la connessione è profonda e di antichissima data. Al di là del suo aspetto meramente funzionale, il cibo porta con sé echi e significati sacrali, legati alla fertilità e al ciclo della vita e della morte. Basti pensare al mito greco di Persefone o alle ossa dei morti del Sud Italia e al pan de los muertos messicano, con i quali simbolicamente si ottiene un rapporto con l’aldilà attraverso il cibo, o all’eucaristia, in cui grazie a ciò che assumiamo si introietta il divino.

alchemist, a copenhagen

Il cibo spesso accompagna riti religiosi. Su Filindéu, la sottilissima pasta la cui preparazione si tramanda di madre in figlia, era servita ai fedeli che compivano il pellegrinaggio da Nuoro a Lula per la festa di San Francesco. Il caffè Touba senegalese è legato alle preghiere dei sufi della confraternita muride islamica. Mentre la cerimonia del tè giapponese è un esercizio spirituale e di meditazione, scandito da gesti e momenti ben precisi, con il tempo che scorre tanto lento da dare accesso a un’altra dimensione. La neo-spiritualità mette degli argini alla ritualizzazione ossessiva del cibo ritmata da trasmissioni Tv, aperture di nuovi ristoranti, cene a più mani, chef da provare assolutamente oggi e snobbare domani, mode alimentari usa e getta e commercializzazione del principio di sapere. Ecco allora che la “new wave” dello spiritualismo in cucina passa prima di tutto per una connessione inedita con la natura sotto forma di materia prima. E in effetti le varie forme di neopaganesimo, alla base, riconoscono il divino nella natura. Soprattutto nell’ambito, in cui Leemann è stato antesignano, del vegetale. «Mi sento fortemente legato ai laghi, alla foresta e alla natura che mi circonda. Trovo l’ispirazione per i miei piatti quando sono all’aperto a raccogliere funghi e bacche e a cercare erbe e piante aromatiche», dice Niklas Ekstedt, che nel suo ristorante di Stoccolma cuoce solo sulla fiamma viva richiamandosi alle pratiche dei Vichinghi. Si cerca un nuovo rapporto con la terra, più profondo e ancestrale e che si rifà ad antichi popoli e riti, tecniche e ingredienti che si percepiscono come magici e potentemente evocativi. Una nuova religione laica per cui «prima tocchi la terra e poi mangi da essa», come dice il peruviano Virgilio Martínez. Per partecipare all’esperienza più estrema di uno dei migliori al mondo secondo i World’s 50 Best Restaurants, non si va al suo Central di Lima ma si sale fino a 3 500 m d’altitudine nella valle sacra degli Inca, da Mil Centro. Qui la magia nasce dalla biodiversità botanica e culturale propria di queste terre estreme. Per questo la cena è solo la fine del viaggio. Prima di arrivare a mettere le gambe sotto uno degli esclusivissimi tavoli (solo 20 i coperti a 620 dollari a persona) si visita il sito archeologico di Moray, una spettacolare serie di terrazzamenti circolari concentrici utilizzati dagli Incas come laboratorio agricolo ma anche, forse, centro cerimoniale. Ancora, la connessione tra sacro e profano, spiritualità e cibo. Segue l’incontro con le comunità di agricoltori locali e di artisti della ceramica e del legno e la lezione sui distillati, le infusioni e le fermentazioni della tradizione inca che accompagneranno il pasto. Infine, ecco che si mangia: otto “portate/ecosistemi” con un menu che cambia ogni giorno a seconda di ciò che fornisce Madre Natura. Tuberi (ne esistono 4 000 varietà in Perù) e vegetali principalmente. La cucina che va alla pancia, insomma, e lì si ferma, metaforicamente parlando, ai nuovi chef avanguardisti proprio non piace. Che il cibo sia molto di più delle sue benché succose parti ce lo mostra la cucina olistica di Alchemist, il ristorante bistellato di Rasmus Munk aperto nel distretto industriale di Refshaleøen, a Copenaghen, in un ex cantiere navale ed ex laboratorio del Royal Danish Theatre. Qui il pasto – pardon, l’esperienza – dura sei ore lungo 50 “impressioni, per la maggior parte edibili”, la cui realtà è aumentata da performer, installazioni e dall’architettura stessa. Il cuore del ristorante è infatti costituito da una cupola-planetario sotto la quale si cena circondati da proiezioni artistiche e panorami. Ci si può trovare sotto il mare circondati da meduse che nuotano tra sacchetti di plastica, a osservare la Terra dallo spazio, o all’interno del corpo umano cullati dal lento battito di un cuore gigantesco. La palette dei colori è scura e misteriosa, senza luce naturale. L’impressione di un luogo fuori da tutto è sottolineata da un viaggio del suono attraverso spazi mistici, identità sonora creata per il ristorante dal compositore Lars Bork Andersen. Officia la cerimonia chef Munk con le sue creazioni cariche di sottotesti umoristici, provocatori e politici.

yopo, a londra, d’impronta sudamericana.

il cocktail bar del wisdomless club, a pochi passi da piazza navona, a roma.

Come ha detto Ferran Adrià, sommo agent provocateur della cucina contemporanea, al magazine Politiken MAD: “Alchemist è un luogo in cui si può riflettere sui nostri limiti come esseri umani, fisicamente, emotivamente e spiritualmente”. Dalla dimensione “altra” alla natura primaria. Yopo è un sontuoso ed eccentrico boutique hotel londinese in cui chef George Scott-Toft propone il Tribal Brunch. I gusti esotici, ispirati agli ingredienti e alle cucine dell’Amazzonia, sono accompagnati da ritmi tribali e suoni della foresta, l’ambiente è carico di colori accesi ed elementi spirituali, il profumo agrumato e legnoso del Palo Santo riempie l’aria guidando a un percorso di purificazione e rilassamento. E per chi avesse bisogno di un aiutino, c’è una runa o un oracolo che accenna alla via. Visto poi che siamo a Londra, la tradizione del tè delle cinque viene reinventata con il Seven Chakra Afternoon Tea. Dimenticate scones e tramezzini al cetriolo: questo high tea è stato ideato non solo per deliziare il palato ma per nutrire l’anima, approfondendo la comprensione dei chakra e guidando attraverso un viaggio culinario in cui ogni piatto e ingrediente risuona con i centri energetici del corpo. Anche la selezione di tè è pensata per esplorare le energie e le proprietà curative di ciascun chakra, dall’ipnotico Blue Aurora, al delicato Hibiscus & Rose al ricco e vintage Ripe Pu’er invecchiato otto anni. Natura, spiritualità, erbe e centri energetici. Proseguendo il nostro viaggio nella spiritualità culinaria, non potevamo non imbatterci nella cucina magica di streghe e maghi. Che poi non erano altro che donne (soprattutto) che conoscevano le proprietà curative delle piante. E che per questo davano noia all’ordine costituito. Uno dei più incantevoli ristoranti di Edimburgo, the Witchery by the Castle, un tripudio di legni, argenti e candelabri in un edificio del 1595, prende il nome dalle centinaia di streghe bruciate sul rogo a Castlehill durante il XVI e XVII secolo. A New York, da Foul Witch l’ambiente gotico e la dialettica della luce e dell’oscurità – ispirata a Legend, dimenticato film fantasy di Ridley Scott – si esprime in un menu di ispirazione italiana dove “ogni boccone è un viaggio nel contrasto, che lascia un’oasi di pace per i sensi.” La filosofia non è forse delle più solide, ma l’atmosfera è certamente intrigante e magicaNatura, spiritualità, erbe e centri energetici. Proseguendo il nostro viaggio nella spiritualità culinaria, non potevamo non imbatterci nella cucina magica di streghe e maghi. Che poi non erano altro che donne (soprattutto) che conoscevano le proprietà curative delle piante. E che per questo davano noia all’ordine costituito. Uno dei più incantevoli ristoranti di Edimburgo, the Witchery by the Castle, un tripudio di legni, argenti e candelabri in un edificio del 1595, prende il nome dalle centinaia di streghe bruciate sul rogo a Castlehill durante il XVI e XVII secolo. A New York, da Foul Witch l’ambiente gotico e la dialettica della luce e dell’oscurità – ispirata a Legend, dimenticato film fantasy di Ridley Scott – si esprime in un menu di ispirazione italiana dove “ogni boccone è un viaggio nel contrasto, che lascia un’oasi di pace per i sensi.” La filosofia non è forse delle più solide, ma l’atmosfera è certamente intrigante e magica.

il sito di moray (perù) e il ristorante mil

Il risvolto forse più interessante però è il cortocircuito tra stregoneria ed empowerment femminile. Si sente una fattucchiera, giocando anche con il ruolo ai pentoloni e la fama luciferina della sua città adottiva, New Orleans, Cristina Quackenbush. Il suo nuovo ristorante di cucina asiatica sudorientale si chiama Tatlo: “tre” in lingua T’boli, riferito a lei (filippina) e alle socie Anh Luu (vietnamita) e Hayley Vanvleet, e subito vengono in mente le tre streghe di Macbeth o le tre parche della mitologia greca. La suggestione è amplificata dallo spazio, un ambiente “stregato” ornato da artefatti magici, fontane di assenzio e installazioni artistiche. “La stregoneria fa parte del mio percorso personale e mi ha aiutato a superare molte sfide”, ha detto Quackenbush a Eater: “A New Orleans ci sono sempre state sacerdotesse voodoo e streghe, e anche l’assenzio è uno spirito potente”. Da Tatlo il menu è attento ai cicli lunari, ogni pasto vuole essere un rituale di connessione e nutrimento e ogni piatto è un’esperienza spirituale. Di più, ogni piatto esalta le proprietà nutrizionali e mistiche degli ingredienti e Cristina, strega buona, elargisce ricette benefiche come i Protection noodles (noodles d’uovo con aglio e parmigiano) che portano a conoscere i propri confini e respingere gli spiriti maligni, o il cocktail Blood Moon Ritual (Pimm’s, Vodka e arancia rossa) che favorisce la pulizia emozionale e la centratura del sé. “La stregoneria e lo spiritualismo soprannaturale non sono solo aspetti della mia filosofia personale. Sono il cuore di Tatlo” chiarisce la chef. L’alchimia odierna in effetti trova la sua più compiuta realizzazione proprio nei cocktail. E un antro stupefacente, emanazione della nobiltà capitolina, è Wisdomless. Tra vecchi bauli Louis Vuitton usati come tavoli, teste di cammello e leopardo appese alle pareti, simboli massonici e magici (i più curiosi li troverete solo se avrete accesso alla sala segreta, nascosta dietro a una libreria), in questo cocktail bar unico nel centro di Roma potrete farvi tatuare un simbolo esoterico, acquistare un pezzo d’antiquariato o un’opera d’arte oppure – ed è la scelta che vi consigliamo – sorseggiare uno dei drink della lista. Come un Bloody Mary (Montelobos Mezcal Espadin, Tio Pepe Sherry Fino, carota, pomodoro, miso al lampone, Spicy Mix) o un Pharmaceutical Stimulant (Bulleit Rye, Lucano Anniversario, Cadello e caffè Cold Brew).

cristina quackenbush di tatlo

ristorante asiatico a new orleans.

Da Roma a Venezia il passo – turisticamente parlando – è breve. Qui la spiritualità diventa monastica con il progetto Harmonia Mundi, uno spumante realizzato con le uve coltivate nei chiostri di San Francesco della Vigna, che da 800 anni custodiscono il vigneto urbano più antico della città. La tiratura è limitata, ma non solo: le 1 107 (numero simbolico che evoca la Trinità poiché multiplo di 369) bottiglie potranno essere degustate solo a Venezia. È a base di vitigni Glera e Malvasia, i varietali bianchi più diffusi in Veneto ai tempi della Serenissima, reimpiantati nei chiostri dagli agronomi di Santa Margherita nel 2019 e coltivati seguendo le tecniche del passato, come l’allevamento delle viti ad alberello, la lavorazione manuale in vigna e la semina di varietà di fiori perenni che inframezzano i filari. “Oops, m’ha presa la voglia di misticismo” potrebbe essere il nome di un nuovo piatto in carta. Perché ormai la cucina, quella alta, di materiale e necessario non ha più nulla, non l’ha mai avuto. E forse è giusto così. Arte, spiritualità, espressione di sé: chi ci crede, è servito.

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