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Tra i ragazzi della Scuola dei Sassi di Matera

I protagonisti sono loro, le ragazze e i ragazzi che questa Scuola dei Sassi – affacciatasi da poco sull’impareggiabile scenario rupestre di Matera – hanno iniziato a riempire di vita, visioni e parole; e quindi la cosa più giusta da fare è presentarli subito, trascrivendo le riflessioni che ci hanno affidato, cercando assieme di cogliere il senso più profondo di un inconsueto esperimento in bilico tra arte, pedagogia e impegno sociale. Alice ha 21 anni e studia Lingue e culture comparate all’Orientale di Napoli, ma torna qui nella Murgia, dov’è nata, ogni volta che ne ha la possibilità. Dice: «Mi piacerebbe imparare ad ascoltare gli altri e quello che ho intorno, ad avere fiducia. Non credo sia essenziale imparare qualcosa di preciso, conoscere è bello quando è improvviso, “inconsapevole” o spontaneo». Manu, 22 anni, è stato invece per un periodo a Torino e adesso sta pensando di rimettersi sui libri iscrivendosi all’Università della Basilicata. Lui – più immaginifico – vede la scuola «come una fucina, un catalizzatore che possa consentire ai singoli individui (e quindi alla comunità) di esprimere i propri desideri, artistici e sociali; come una festa, sacra e profana, un momento di aggregazione per sospendere l’ordinario; come un codice, elenco di regole semplici ed essenziali intellegibili da chiunque». Tra gli iscritti più giovani ecco Lorena, 17 anni, che ogni giorno frequenta l’Istituto tecnico Loperfido-Olivetti. È cresciuta accanto a questo rudere ora tirato a lucido e alla domanda su che cosa le piacerebbe apprendere risponde così: «Semplicemente l’empatia e la propensione ad ascoltare»; «imparare dagli altri, senza competizione», le fa eco Clara, 18 anni, freschissima di maturità classica. Ci sarebbero poi da citare le parole di Matteo (24 anni, studi in archeologia e guida specializzata nei trekking), di Mariateresa (22 anni, fuorisede a Parma) e degli altri che abbiamo interpellato; ma tocca ora entrare nel merito, soprattutto per sgombrare il campo dagli equivoci.

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foto: Pierangelo Laterza. la scuola ha sede all’interno di edifici demaniali appositamente restaurati.

Nessun banco, nessuna cattedra, nessun insegnamento impartito dall’alto. Che cos’è, dunque, la Scuola dei Sassi? Un contenitore vuoto in cui gli unici materiali didattici sono le esperienze e le conoscenze condivise da chi la frequenta o la visita: la trasmissione orizzontale di un patrimonio immateriale, in un processo volto alla crescita dei singoli e della collettività di riferimento; uno spazio vuoto e quindi da riempire, aperto a chiunque. Basta sedersi su uno sgabello e iniziare a discutere, confrontarsi, partecipare. «Qui modelliamo idee, non cartapesta», riassume a mo’ di slogan Valerio Rocco Orlando, ispiratore e regista di questo che ufficialmente si configura come un “Laboratorio di formazione territoriale”. Classe 1978, Orlando è nato a Milano e insegna sia all’Accademia di Brera sia al Politecnico delle Arti di Bergamo: docente, quindi, ma anche – soprattutto – «artista», specifica lui, con una garbata punta di fierezza; una fattispecie di artista ben precisa, però. La sua pratica s’intreccia all’interesse nutrito per gli studi urbani e la pedagogia per ripensare l’ambito della città come spazio di apprendimento autenticamente comunitario. Le sue “opere” non sono quadri da esporre in una galleria, sculture da vendere tra gli stand di una fiera o esperienze di dialogo culturale più o meno estemporanee; non oggetti fisici da “consumare”, ma progetti di lungo corso, calati in contesti sociali specifici, di natura partecipativa: tante persone coinvolte e lui a fare da mediatore, a tirare le fila – in una prospettiva di sintesi estetica e formale – di quanto emerge. Sono questi workshop e laboratori – considerati opere d’arte a tutti gli effetti – a costituire il centro focale della ricerca di Orlando, un lungo percorso di approfondimento – svolto anche all’estero – che nel progetto decollato tra i Sassi trova ora il proprio compimento.

foto: Pierangelo Laterza. gli incontri si svolgono anche in una dimensione pubblica nello spazio prospicente.

foto: Pierangelo Laterza. Valerio Rocco Orlando Artista, ricercatore, docente all’Accademia di Brera (Milano) e al Politecnico delle Arti di Bergamo.

Con le terre lucane Valerio Rocco ha una liason speciale, perché qui – da parte di madre – affondano metà delle sue radici familiari. A Matera ci è arrivato la prima volta nel 2015, trovandovi un ambiente consono alla visione perseguita. Così, dopo aver messo in campo alcune collaborazioni con una rete di realtà e istituzioni locali (tra cui il Musma – Museo di Scultura Contemporanea Matera), decide di affrontare l’iter per la subconcessione trentennale di due immobili demaniali da dedicare a un’iniziativa educativa alternativa, o meglio «complementare rispetto ai modelli tradizionali: una scuola d’arte pensata come una scuola di cittadinanza, un’opera “viva” e di natura permanente che mette al centro la socialità e le forme di apprendimento intergenerazionale». Destinatari, i giovani del luogo in una fascia d’età che va dai 15 ai 25 anni, chiamati a riscrivere il rapporto con l’ambiente urbano abitato rivitalizzando spazi pubblici e relazioni – anche quelle di vicinato, così tipiche del nostro Mezzogiorno. Che cosa vuol dire vivere a Matera? Che cosa si può fare per migliorarla, affinché non soccomba al cospetto di logiche turistiche sempre più arrembanti? Quale ruolo possono svolgere le nuove generazioni? Si parte da questi spunti e si parla, s’immagina. Nella Scuola dei Sassi – inaugurata l’8 giugno con una passeggiata tra le rocce del rione e il verde del Parco della Murgia circostante, quasi a cucire una nuova consapevolezza del proprio panorama esistenziale – ci s’incontra settimanalmente il sabato, alle 16. Un programma gratuito, nessun obbligo di frequenza. Gli iscritti sono una trentina, compresi quelli che sono nati qui ma studiano altrove, e che quando tornano a casa si fanno vedere: «Ora l’obiettivo è far sì che questo spazio di coinvolgimento viva ogni giorno, che diventi per tutti un punto di riferimento».

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