Tra estasi e caos Phnom Penh e la sua metamorfosi
I primi passi a Phnom Penh procurano una sensazione strana, in cui il piacere di una passeggiata alla scoperta di una città sconosciuta si alterna allo stress generato da rumore, calore, folla, traffico. Per fortuna, ovunque si guardi, c’è dell’acqua, vero e proprio elemento distensivo perché Phnom Penh si trova alla confluenza di due corsi d’acqua, il Mekong e il fiume Tonlé Sap. Ed è qui, anche, che il Bassac lascia il Mekong per dirigere le proprie acque verso il Vietnam. Per ovviare al numero davvero esiguo di ponti – due 20 anni fa, cinque oggi –, i traghetti trasportano pedoni, biciclette, tuk-tuk, scooter, auto e camion da una riva all’altra, e sono tanto congestionati quanto le strade. La città è disseminata di dimore antiche, ereditate dall’epoca coloniale. Alcune sono restaurate, altre abbandonate e invase dalla vegetazione. Le abitazioni di stili molto diversi tra loro confinano con i numerosi templi, le botteghe artigiane, i magazzini, i negozi e con i grandi edifici dai tetti a pagoda, protetti da guardie, che ospitano i ministeri, le amministrazioni o l’Assemblea nazionale.
complesso del palazzo reale, residenza del sovrano dal 1866, anno in cui venne terminato.
Poi c’è il caos della città, una circolazione densa ed eteroclita che rallenta costantemente gli spostamenti, i cantieri di giorno come di notte, i dehors dei ristoranti che invadono i marciapiedi già stretti, gli artigiani che lavorano a terra sul ciglio della strada. Come le città del Sudest asiatico, Phnom Penh cresce in fretta, senza una vera e propria governance o un piano urbanistico. Gli immobili spuntano rapidamente, non sempre con gusto. Condomini e quartieri residenziali chiusi, chiamati borey, costeggiano banchi di commercianti che propongono vestiti, chincaglierie, street-food, pezzi di motore o articoli da cartoleria. Per meglio sfruttare i lotti disponibili, i costruttori investono in altezza, proponendo un nuovo modo di vivere agli abitanti della città, abituati a immobili di due o tre piani, o a case monofamiliari. Alcuni laghetti urbani vengono prosciugati per poter accogliere programmi immobiliari prestigiosi, destinati ai più ricchi e a investitori stranieri. Questi progetti privano di risorse la fascia di popolazione che vive di pesca e acquacoltura, obbligandola ad allontanarsi dal contesto urbano. Alcuni lamentano che questi interventi di prosciugamento alterino anche l’equilibrio ambientale della città, rendendola più vulnerabile alle inondazioni, perché i laghi assorbono la maggior parte delle piogge monsoniche. Nascono centri commerciali, magazzini e fabbriche che spingono i confini della città più in là, soprattutto verso ovest. Non si sa più quali siano i limiti della conurbazione, tanto sono mobili. La mancanza di trasporti pubblici è sempre più un problema. Diversi studi di fattibilità per linee di metropolitana sono stati commissionati a imprese straniere, ma per il momento nessuno si è tradotto in una soluzione concreta. Molti sperano che la filiera “trasporti e infrastrutture” creata nel 2022 presso l’Istituto per la tecnologia della Cambogia (Itc), principale scuola per ingegneri del Paese, acceleri lo sviluppo dei trasporti pubblici. È come se Phnom Penh fosse stata superata dalla sua stessa frenesia di crescere.
Stupa bianca all’interno del complesso del palazzo reale
la statua di buddha nel tempio wat phnom.
L’incubo del regime
«Il Paese è in pieno sviluppo, viene generato molto lavoro; certo, ci sono ancora super-ricchi e poveri, ma la Cambogia sta per creare la sua classe media. Oggi, è possibile comprare una casa per la propria famiglia non troppo lontano dal centro con l’equivalente di circa 60 000 $», spiega Nicolas Hollanders, direttore generale della Bred Bank Cambodia, arrivato nel Paese nel settembre del 2022. E aggiunge: «Di recente, a proposito di Phnom Penh, qualcuno parlava di “disorganizzazione armoniosa”. È proprio così!». Per comprendere questa frenesia e questa disorganizzazione armoniosa, bisogna rifarsi alla storia della città. Phnom Penh divenne capitale solo nel 1866, quando il re Norodom I decise di insediarvi la sede del governo e di costruire il palazzo reale. Durante la colonizzazione francese, durata 90 anni, dal 1863 al 1953, Phnom Penh divenne poco a poco una delle più belle città dell’Indocina, e per questa ragione, all’inizio del XX secolo, fu soprannominata la “Perla dell’Asia». Edifici amministrativi, il mercato centrale, grandi viali e la ferrovia sorsero su terreni paludosi prosciugati da un sistema di canali. Diventato indipendente nel 1953, il Paese ha vissuto un periodo tormentato fino agli Anni 70. Ma è il 17 aprile 1975 che la storia di Phnom Penh si ribaltò, quando i Khmer Rossi ne presero il controllo. Immaginate una città svuotata dei suoi due milioni di abitanti in una giornata sola: tutti mandati a forza a lavorare nelle campagne, la Capitale fu abbandonata per tre anni e mezzo. Solo il 20% di quelli che vi vivevano tornarono a Phnom Penh, a partire dal gennaio 1979, una volta che l’esercito invasore vietnamita cacciò i Khmer Rossi. A partire dal 1991, la città ha iniziato la ricostruzione, dopo gli accordi di Parigi siglati sotto l’egida delle Nazioni unite, che hanno messo fine alla guerra civile. Da una trentina d’anni, Phnom Penh è tornata a essere una vera città; si è rialzata, con questa foga tipica dei resilienti e una reale aspirazione alla stabilità, alla pace. Tutti gli attori della vita politica, economica e culturale della Capitale sono stati marchiati a caldo e nel loro vissuto familiare da questa storia. La maggior parte degli insegnanti e degli intellettuali sono stati giustiziati dai Khmer Rossi. La generazione nata negli Anni 60 e 70 che non è fuggita dal Paese è stata privata dell’educazione per numerosi anni. Le nuove generazioni di oggi, invece, hanno grandi progetti e intendono trovare i mezzi per realizzarli. Tre quarti della popolazione ha meno di 35 anni. Non ignorano il passato, ma vogliono andare avanti e instradare il Paese verso la trasformazione. «È tempo di cambiare predisposizione d’animo e cambiare narrazione!» afferma David Van, imprenditore e pioniere dei partenariati pubblico-privato (Ppp): «La trasformazione del Paese passa per l’economia e le imprese. Per questo, bisogna fornire mezzi e soluzioni, risorse e capacità».
veduta aerea del mercato centrale, costruito nel 1937 e rinnovato l’ultima volta nel 2011.
Obiettivo: creare valore
L’Asian Vision Institute (Avi) lavora in questo senso. Il think tank è stato creato nel 2019 da giovani cambogiani tornati a Phnom Penh dopo studi e prime esperienze lavorative all’estero. Specializzato nella raccolta e nell’analisi dei dati, l’Avi pubblica resoconti e libri e organizza seminari e laboratori. «C’era bisogno di formazione e di informazione tanto nel settore pubblico quanto nel privato. Il nostro think tank si fonda sulla convinzione che la cooperazione sia la via migliore: bisogna allacciare il dialogo con tutti, non incolparsi a vicenda, non essere né parziali né soggettivi», racconta Kimlong Chheng, che dirige il Centre for Governance Innovation and Democracy (Cgid), uno dei sei centri dell’Avi. Dopo un dottorato in Economia in Australia, Chheng è stato consulente per diverse agenzie internazionali per lo sviluppo, così come per l’ambasciata degli Stati Uniti a Phnom Penh. Riconosce che oggi ci sono buoni progetti e un reale dinamismo, ma si rammarica che gli aiuti del governo mirino soprattutto ad attirare gli investimenti stranieri: «Ci vorrà del tempo e ancora più incentivi da parte del governo alle imprese, specialmente alle Pmi, per costruire un ecosistema solido». Il quadro economico della città migliora, ma è ancora fragile. Grazie a un tasso di crescita medio annuale della sua economia pari al 7%, la Cambogia ambiva a lasciare il gruppo dei “Paesi meno sviluppati”, secondo la classificazione dell’Onu. Non aveva fatto i conti con la pandemia di Covid-19, che ha notevolmente rallentato tutte le attività. Una crescita intorno al 6% nel 2023 ha confortato il Paese nel suo progetto di accedere presto al rango di “Paese in via di sviluppo”. «Il Covid ha messo in evidenza le debolezze strutturali del Paese, le sue difficoltà a importare materie prime e a esportare, ma anche la mancata diversificazione dell’economia basata su agricoltura, turismo e industria tessile», constata Blaise Kilian, condirettore di Sosoro, il Museo dell’Economia e della Moneta, dopo aver diretto EuroCham, la camera di commercio europea in Cambogia: «La sfida consiste nel diversificare le attività e andare verso una maggiore creazione di valore».
il memoriale dedicato a norodom sihanouk con la statua del sovrano (1932-2012).
un gruppo di monaci buddisti.
La parabola di Pung Kheav
Phnom Penh è all’avanguardia in questo senso. Grandi gruppi familiari o internazionali, Pmi, investitori, start-up, tutti condividono la convinzione che la crescita passi per la diversificazione e la crescita di gamma. Il gruppo Overseas Cambodian Investment Corporation (Ocic), nato nel 2000, è senza dubbio il più diversificato di tutti. In soli 20 anni, ha ampliato le sue attività di costruzione e gestione di ospedali, aeroporti – tra cui il nuovo scalo internazionale –, università, strade, hotel, centri commerciali, parchi divertimento e lotti residenziali, oltre alla locazione di macchine da cantiere, alla stampa… Il gruppo ha, per esempio, impiegato i 120 ettari dell’isola di Koh Pich (l’isola Diamant, sul fiume Bassac) nella realizzazione di un nuovo quartiere della Capitale, dove una copia del parigino Arco di trionfo e viali di stampo haussmanniano costeggiano quello che ambisce a diventare un Central Park locale. L’Ocic è stato creato da Pung Kheav Se, che nel 1980 aveva trovato rifugio in Canada, dove aveva aperto un piccolo atelier di riparazione di gioielli. Tornato a Phnom Penh nel 1991, si lancia nel settore del trasferimento di denaro in partenariato con una banca locale, della quale ha successivamente riacquistato le quote. Oggi, Pung Kheav Se è diventato oknha, titolo onorifico accordato dal re ai cambogiani che contribuiscono allo sviluppo nazionale. Se è sempre presidente di tutti gli enti del gruppo (che impiega circa 20 000 persone), oknha Pung Kheav Se ha fatto appello alle giovani generazioni – nel perimetro familiare – per internazionalizzare e svecchiare il gruppo. Sua figlia, Carolyne Pung, di formazione medico generale, tornata a casa dal Canada nel 2006, ha sviluppato in particolare il settore ospitalità, così come gli ospedali e le scuole. Il pronipote, Thierry Tea, dopo aver sviluppato Airbus nelle Filippine e lanciato diverse start-up, ha raggiunto l’Ocic nel 2022 per «contribuire alla transizione generazionale del gruppo». Tra gli altri progetti, è lui che ha fatto rinverdire il Central Park di Koh Pich e che studia la possibilità di creare un’accademia di calcio a Phnom Penh, in partenariato con un club europeo… Staremo a vedere.
il preah sisowath quay; sullo sfondo il wat ounalom, cuore del buddismo cambogiano.
Dalla parte delle donne
In merito alla creazione di valore e alla crescita di gamma, è sulle donne e sulle Pmi che Phnom Penh intende scommettere. «Più del 60% degli imprenditori del Paese sono donne. Sviluppano soprattutto delle piccole attività nell’agricoltura, nel commercio o nell’industria, che però è molto difficile far crescere perché le donne sono isolate e lavorano spesso da casa», racconta oknha Mom Keo, fondatrice di Ly Ly Food Industry e presidente della Cambodia Women Entrepreneurs Association. Questa associazione, che conta più di 2 000 iscritte, riunisce, forma e accompagna le donne per aiutarle a trovare nuovi sbocchi per i loro prodotti e per facilitare loro l’accesso ai finanziamenti, conditio sine qua non della crescita delle loro imprese. Mom Keo ne sa qualcosa: lei ha creato da sola la sua attività nel 2002, a Phnom Penh, per dare lavoro a persone senza impiego né qualifica. Ly Ly Food produce ogni tipo di cracker a base di riso. Oggi, la società impiega più di 500 persone su due fabbriche, nella periferia della Capitale, ed esporta la sua merce in 13 Paesi. Un “ruolo modello” che è motivo d’ispirazione per le imprenditrici.
Industria 4.0
David Van e Wisal Hin, per parte loro, hanno messo insieme i tanti anni di esperienza presso organismi internazionali per lo sviluppo per fondare Platform-Impact, una struttura di supporto per “imprese a impatto”, e creare il Program Impact Small and Medium Enterprises (Prisme), lanciato nel 2022. Questo programma accompagna dieci Pmi locali per un anno per formarle sui criteri ambientali, sociali e di governance (Esg) e renderli “investment ready”, ovvero pronti a ricevere degli investimenti. «Si tratta di sensibilizzare i dirigenti alle sfide future, di attuare le pratiche che renderanno le loro imprese attraenti agli occhi degli investitori, supportandole fino all’ottenimento di fondi», spiega Wisal Hin, cofondatore e responsabile dell’innovazione. Nello stesso spirito, Platform-Impact è partner del gruppo di attività industriali 4.0 Sme Cluster, inaugurato a una quindicina di km dalla città. Immaginato dal gruppo Worldbridge (uno dei grandi conglomerati del Paese) questo cluster mette gli standard più moderni (automatizzazione, interconnessione, dati in tempo reale…) alla portata delle Pmi. La mutualità di queste risorse si traduce in un risparmio che va dal 30 al 35% sui costi di produzione. «Questi progetti, che mescolano sostegno del governo e risposta alle aspettative delle imprese nel quadro di partenariati pubblico-privato, contribuiscono a far nascere l’ecosistema e ad accelerare l’economia di impatto che consentirà alla Cambogia di differenziarsi dai suoi vicini e, perché no, di far emergere degli unicorni», conclude entusiasta David Van. Nell’attesa, Phnom Penh continua la propria metamorfosi.