The Good Life Italia

L’invasione delle ultrafibre

Ortiche, cactus, funghi, bucce d’uva e di banana: nella lotta per ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera e contrastare il cambiamento climatico, sono queste le truppe speciali schierate in prima linea nel mondo della moda. Dai pantaloni alle camicie alle ortiche (ma soffici al tatto) al cactus che diventa la calzatura più cool di stagione, fino a giacche in pelle e borse fatte con le bucce d’uva e con le banane. Piante, frutta, persino i funghi finiscono per occupare il nostro guardaroba, da indossare preferibilmente senza data di scadenza e, quando passano di moda, degradano in meno di un anno.

Secondo un report del Parlamento Europeo, risulta che ogni anno nel mondo vengono prodotte 17 milioni di tonnellate di tessuti al giorno e che in Europa ogni persona compra in media 26 chili di prodotti tessili ogni anno. Un dato che ci dà conferma di quanto la moda rappresenti uno dei settori più inquinanti al mondo, dal momento che tutta questa sovrapproduzione non fa in tempo ad entrare in commercio che finisce per aggiungersi alle montagne di rifiuti che stanno invadendo il nostro pianeta (secondo Reviews Earth and Environment, ogni anno i rifiuti tessili superano i 92 milioni di tonnellate).
Per non parlare della lavorazione e della tintura dei tessuti che sono responsabili del 20% dell’inquinamento idrico industriale, mentre il 35% delle microplastiche negli oceani è attribuibile ai lavaggi dei capi in fibre sintetiche. Risulta, dunque, un nuovo modello comportamentale tra alcune fashion company nel mondo che sta concretamente facendo la differenza, portando a compimento nuovi criteri di produzione per impattare il meno possibile sull’ambiente.

L’Atlante delle imprese culturali e creative in Italia

Da uno studio sulle Imprese che si sono contraddistinte in termini di evoluzione nell’intero corso del ciclo produttivo (dall’idea al prodotto finito), sotto la Direzione di Roberto Grossi e descritto nell’Atlante delle imprese culturali e creative in Italia, pubblicato dall’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, e presentato nel corso dell’ultima edizione di Pitti Immagine Uomo è emersa la definizione di “impresa culturale”, cioè di tutte quelle imprese che intendono perseguire il profitto creando anzitutto innovazione.  Un’analisi curata da un team di studiosi dell’associazione Cultura Italiae, di Unioncamere, di AICI, dell’Istat, dell’Istituto per il Credito Sportivo e di Intesa Sanpaolo e della collaborazione di ANCI, Federculture e Fondazione Fitzcarraldo, che raccoglie più di 180.000 casi di aziende virtuose, 18 saggi con analisi di settore dettagliate, firmate da esperti di ogni campo (dall’editoria, alla musica, allo sport, alla moda, all’enogastronomia, fino ai new media). Marco Richetti (Presidente di Hermes Lab) a questo proposito segnala il ruolo di alcune aziende del panorama moda che proprio per la sua forte componente artigiana ha contribuito a creare innovazione nel corso della storia di questo paese, innovazione che passa attraverso l’evoluzione degli strumenti produttivi.

È questo il motivo per cui le aziende più autorevoli scelgono di dirottare i propri investimenti in su tecnologie sostenibili, sia a livello interno all’azienda o attraverso partnership con Imprese specializzate nel settore, il più delle volte riuscendo a mantenere condizioni di esclusività tra un determinato sistema di produzione e il brand per il quale è stato studiato.

Le fibre 100% biodegradabili

Al di là dei tessuti ricavati da importanti operazioni di riciclo che consentono il reimpiego di materiali di scarto all’interno della catena produttiva, esiste una tendenza positiva che si muove nell’ambito della ricerca e della produzione di materiali organici e 100% biodegradabili, in linea con le norme votate dal Parlamento europeo nel febbraio 2021, con l’obiettivo di raggiungere un’economia a zero emissioni di carbonio, libera da sostanze tossiche e completamente circolare entro il 2050.

È stato Salvatore Ferragamo ad utilizzare per primo questa fibra nel 2017, dando vita alla sua preziosa daily wear collection

La capsule di Salvatore Ferragamo creata con Orange Fiber dal designer Mario Trimarchi

Orange Fiber. Dalla capsule di Salvatore Ferragamo al denim di Candiani

Tra queste, Orange Fiber che ha realizzato una fibra ricavata dalla trasformazione dei materiali vegetali della filiera agrumicola. Una cellulosa estratta dagli scarti delle arance utilizzate negli stabilimenti che producono succhi o fragranze per l’ambiente viene trasformata in Tencel (quel tipo di fibra sintetica e biodegradabile ottenuta da cellulosa, ossia quelle fibre prodotte industrialmente a partire da materie prime naturali quali la polpa del legno di faggio e di eucalipto, attraverso lavorazioni a basso impatto ambientale) all’interno d’impianti di proprietà di Orange Fiber in Austria e infine riportata nella sede di Bergamo in cui viene trasformata in rocchetti di filo destinato a diventare tessuto simile alla seta o al cotone. È stato Salvatore Ferragamo ad utilizzare per primo questa fibra nel 2017, dando vita alla sua preziosa daily wear collection: una capsule composta da camicie, abiti, pantaloni e foulard, in occasione della Giornata Mondiale della Terra, personalizzata dalle stampe dell’architetto e designer italiano Mario Trimarchi (Compasso D’Oro 2016).

Capsule collection Coreva Design By Quid a cura di Gabriela Giovanardi realizzata con lo stretch denim di Candiani

Sempre dai laboratori di Orange Fiber deriva lo stretch-denim di Candiani, per fare un esempio, in grado di degradarsi in 3-4 mesi invece di 200 o più anni, brevettato e utilizzato per la capsule collection Coreva Design by Quid a cura di Gabriela Giovanardi la cui uscita è prevista per la SS24: 4 pezzi, gender esize-inclusive, ispirati a capi vintage del suo guardaroba personale: tuta workwear, pantalone cargo, camicia boxy e felpa.

La fibra d’ortica Made In Italy

Una cosa è certa. L’Italia, in questa fase di rivoluzione industriale bio-based, non ha perso l’occasione di piazzarsi tra i maggiori player del mondo, raggiungendo risultati sorprendenti grazie ad aziende come Grado Zero Espace che è riuscita a ricavare dall’ortica – già utilizzata per le divise dell’esercito francese di Napoleone Bonaparte – un filato biodegradabile, senza bisogno di ricorrere all’utilizzo di sostanze chimiche e di grosse quantità d’acqua. Mentre la più piccola Ortika, nata tra le montagne modenesi, produce con metodo artigianale antico un filato, rispettando e valorizzando il lavoro delle comunità locali. Un altro caso di azienda virtuosa, in tema di produzione di fibre liberiane – e cioè quelle fibre nobili ricavate dal libro o corteccia delle piante – come la canapa, l’ortica e la ginestra, è la trevigiana Make In Italy che ha riportato alla luce tecniche di lavorazione di un tempo e tinture a freddo, con telai realizzati per mantenere determinate caratteristiche prive di contaminazioni chimiche. Filati in grado di trasformarsi in capi confortevoli e traspiranti, oltre che resistenti al passare del tempo, utilizzati dall’azienda di Padova GTA nota per la sua produzione di pantaloni sartoriali che ha introdotto questo materiale per una selezione di alcuni modelli e da Xacus, con sede a San Vito di Leguzzano (Vicenza) che all’ultima edizione di Pitti Immagine Uomo ha presentato una versione 100% biodegradabile di una camicia in fibra d’ortica con tintura naturale a freddo.

La camicia in fibra d'ortica di Xacus

I pantaloni sartoriali GTA in fibra d'ortica

Le Mexico66 di Onitsuka Tiger in pelle di cactus dall’italiana Desserto

È stata presentata per la prima volta a Lineapelle a Milano, nell’ottobre del 2019, da due messicani Adrián López Velarde e Marte Cázarez la Desserto una pelle vegana ricavata dal cactus nopal delle loro piantagioni nello Zacatecas. Questa pianta, che è risaputo non aver bisogno di grandi quantità d’acqua, è una biomassa fibrosa composta da cellulosa che l’Adriano di Marti – è questo il nome che i due fondatori hanno scelto per l’azienda tutta italiana – trasforma in materiale vegano per calzature, abbigliamento, design e componenti per l’automotive. Gli ingegneri della Desserto hanno collaborato col brand di calzature Onitsuka Tiger per realizzare una limited edition della MEXICO 66 che deve il suo nome a un evento che risale al 1968, quando ai Giochi Olimpici del Messico, gli atleti giapponesi indossarono le scarpe Onitsuka Tiger. Un legame emotivo dell’azienda giapponese con un paese che l’ha portata a sperimentare nuove e virtuose strade per l’ambiente e il futuro della moda, con cinque nuove colorazioni dalla tomaia soft e leggera, caratteristiche tipiche di questo materiale vegano, con lacci e soletta ottenuti da elementi riciclati.

La leggendaria Mexico66 in pelle di cactus Desserto

La designer inglese Stella Nina McCartney, seconda figlia dell’ex componente dei Beatles Paul McCartney e della sua prima moglie Linda, in mezzo a questa giungla delle fibre vegetali, è riuscita ad andare ancora più a fondo, nel sottosuolo per l’esattezza, arrivando a risultati sorprendenti col micelio, la rete fungina sotterranea soprannominata il “wood web wide” della natura: quella che collega gli alberi tra loro e crea lo strato utile alla crescita delle piante, trasferendo nutrienti e altri minerali di albero in albero.
Si dice che, dopo la bomba atomica su Hiroshima, la prima forma di vita a spuntare in quel paesaggio devastato sia stato un matsutake. Si tratta di uno dei funghi commestibili più ricercati dell’Asia: non cresce solo in Giappone dove raggiunge prezzi astronomici, ma anche in varie aree dell’emisfero boreale. Questo fungo dall’odore intenso ed evocativo non può essere coltivato e preferisce crescere su terreni e foreste perturbati dalla presenza umana. Una forma di vita che sembra avere un ruolo riparatore e risolutivo al disastro ambientale che avanza inesorabile per mano dell’uomo. Ecco perché, questa risorsa sempre più ambita, i funghi sono diventati la materia prima a cui artisti e designer guardano con grande interesse.

Da pioniera dell’utilizzo del fungo nell’industria tessile, la sua borsa Frayme Mylo è stata la prima borsa di lusso al mondo realizzata con il micelio, creata in collaborazione con Bolt Threads. Decisivo il suo intervento alla conferenza sul clima COP 26, quando ha invitato il Fashion System a riflettere sull’urgenza di cambiare drasticamente metodi di produzione, attraverso l’evoluzione dei materiali, la designer ritorna questa stagione con una nuova borsa realizzata in Bananatex, un tessuto resistente e impermeabile completamente naturale, circolare e privo di plastica, ottenuto da piante di banane Abacá, coltivate naturalmente nelle Filippine con l’utilizzo di zero pesticidi o fertilizzanti. La resistenza alla trazione e la durata dei gambi Abacá consentono loro di produrre una tela lussuosa e di alta qualità simile al cotone. Il tessuto può anche essere rielaborato in poltiglia e poi in carta, che può diventare filato ancora una volta. Secondo Bananatex, può essere compostato in condizioni industriali e biodegradante in ambienti marini (acqua oceanica).

La borsa Frayme Mylo è stata la prima borsa di lusso al mondo realizzata con il micelio

La nuova borsa realizzata in Bananatex, un tessuto resistente e impermeabile ottenuto da piante di banane Abacá

Dalla frutta esotica a quella tipicamente mediterranea: le bucce d’uva, materiale di scarto dell’industria del vino, di cui l’Italia vanta un alto livello di produzione ed esportazione riconosciuto in tutto il mondo (più di 26 miliardi di litri di vino ogni anno). Ed è dagli scarti organici della produzione del vino che viene realizzata questa pelle vegetale, utilizzata la scorsa stagione dal marchio HANDPICKED che con slancio pionieristico ha lanciato la sua Wineleather Jacket Made in Italy. Queste vinacce, addizionate a oli vegetali grazie a lavorazioni meccaniche, danno origine a un biopolimero che può essere accoppiato con diversi tessuti.

Sarebbe ancora lunga la lista delle fibre a base vegetale che stanno venendo alla luce negli ultimi anni: dai filati a base d’eucalipto a quelli ottenuti attraverso la fermentazione degli zuccheri dell’azienda giapponese Spiber Inc. che ha brevettato la fibra Brewed Protein. Che il bio-based sia davvero sulla buona strada per salvare l’ambiente dalla minaccia delle microplastiche e dall’elevato quantitativo di emissioni di CO2 ormai è indubbio, ma quanto può servire se non si definisce una regolamentazione che impedisca una volta per tutte alle multinazionali del fast-fashion di sovra produrre a basso costo quantità di merce che supera la richiesta del mercato.

 

 

 

La pelle ottenuta dalle vinacce che attraverso una serie di lavorazioni meccaniche danno vita a diverse varietà di tessuti vegetali

La wineleather Jacket Made in Italy di Handpicked

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