Portrait Milano, un nuovo spazio pubblico
Da qualche mese, si dice, Milano ha un “nuovo spazio pubblico”. “Nuovo” non troppo, però, risalendo al XVI secolo. E neppure in senso proprio “pubblico”, dato che è proprietà di un privato. Tuttavia la piazza del Quadrilatero, appartenente all’ex Seminario Arcivescovile da tempo in disuso, è stata resa accessibile a un uso pubblico a seguito della riqualificazione dell’immobile, acquistato dalla casa di moda Ferragamo per ospitare Portrait Milano: hotel di lusso appartenente alla catena Lungarno Collection. La piazza è un grande cortile a pianta quadrata di 2 800 mq circondata da un doppio loggiato su colonne. La riqualificazione, affidata a Michele De Lucchi e al suo studio Amdl Circle, ha consentito di dare ospitalità a diverse attività commerciali. Ma stabilisce anche un nuovo passage urbano, che mette in comunicazione corso Venezia con la retrostante via Sant’Andrea. Un luogo di grande valore storico e artistico è stato così aperto alla fruizione pubblica benché gestito dal privato che ne è proprietario. Si tratta di un caso piuttosto raro nel panorama italiano, benché il tema dell’ibridazione degli spazi e della collaborazione, più o meno virtuosa, tra pubblico e privato, sia sempre più di attualità, anche alla luce di un contesto che vede la geografia delle città cambiare rapidamente, con centri urbani sempre più a misura di turisti e spopolati di residenti ed esercizi commerciali di prossimità. Per Manuel Orazi, che insegna Città e Territorio all’Università della Svizzera Italiana, all’origine della questione si trova il fatto che gli enti pubblici non sono in grado di farsi carico della gestione dell’immenso patrimonio di cui dispongono, larga parte del quale giace in stato di semi abbandono, in un Paese iper costruito e in decrescita demografica: «Non a caso molti dei progetti più interessanti sono partiti proprio dal recupero di questi spazi, anche grazie all’intervento dei privati. Penso al recupero delle Corderie dell’Arsenale, a Venezia, che negli Anni 80 ha dato il “la” all’espansione della Biennale, un luogo preziosissimo, citato da Dante, che fino agli Anni 70 era chiuso al pubblico perché di pertinenza militare. O, più recentemente, alla ristrutturazione dei Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia, per decenni inaccessibili».
Photo Michele De Andreis. Portrait milano, passaggio pubblico
Photo: Michele De Andreis. Portrait milano, quadrilatero del XVI secolo
Anche Claudio Bertorelli, paesaggista urbano e fondatore di Aspro Studio, pool di progettazione che si occupa di design urbano, architettura e paesaggio, ritiene il matrimonio tra pubblico e privato indispensabile per creare percorsi virtuosi nella rigenerazione della città storica: «Il tema che emerge dal caso di Milano, per esempio, è quello delle corti interne ai palazzi privati, che è un’occasione per i cittadini di riappropriarsi di ambiti urbani poco conosciuti e strategici nella città post Covid. Esempi virtuosi di questo genere sono la corte di Palazzo Strozzi a Firenze, il Fondaco dei Tedeschi a Venezia o il Museo M9 a Mestre: fruibili da tutti pur se all’interno di luoghi gestiti da privati». Certo: tra pubblico e privato dev’esserci un rapporto dialogico, un confronto anche acceso, ma senza preclusioni in un perimetro di regole ben precise: «Pubblico e privato devono abbattere il muro che li divide e trovarsi dalla stessa parte del tavolo. Poi vanno cambiati i parametri di valutazione dei progetti, come i metri cubi, gli standard a parcheggio o a verde che sono legati a un’idea di città novecentesca che sta scomparendo in favore di quella che chiamo “città di relazione”. Infine, è fondamentale la qualità del progetto e la capacità degli interventi di rigenerazione di divenire nuove centralità, riconosciute e vissute da chi vive in quel territorio». Ma a chi tocca il compito di valutare la qualità di un progetto di rigenerazione urbana proposto da un soggetto privato? È qui che il pubblico può fare al meglio la propria parte, almeno secondo Mosè Ricci, docente di Urbanistica presso Sapienza – Università di Roma e autore di numerosi progetti di riqualificazione degli spazi pubblici, tra cui la ridefinizione in chiave pedonale del tracciato di corso Trento e Trieste nel comune di Lanciano (Ch). Secondo Ricci «la qualità del progetto è il criterio più importante, assieme alla possibilità effettiva di fruizione da parte dei cittadini e al loro coinvolgimento. Il pubblico ha la responsabilità di compiere questo tipo di valutazione. Nonostante le tante critiche che spesso vengono loro rivolte a causa di un certo immobilismo, le Soprintendenze dispongono in realtà di tutte le competenze necessarie per assolvere a questo ruolo». In generale, Ricci vede con favore le partnership pubblico-private, sia quando il privato ha le potenzialità di un’azienda, sia quando si tratta di interventi che partono dal basso, per opera di singoli cittadini o associazioni: «Chiunque mette mano alla città esistente, evitando ulteriore consumo di suolo, va attivamente sostenuto, ancor più se porta la città dentro i suoi spazi».
Photo Michele De Andreis. Fashion editor: Concetta D’Angelo. Portrait milano, scorci d’interni.
Photo: Michele De Andreis. Portrait milano, scultura in terracotta su supporto in marmo
A questo proposito Ricci porta l’esempio di Esto no es un solar, un progetto che, tra il 2009 e il 2010, nella città spagnola di Saragozza ha trasformato lotti periferici non costruiti, degradati, o inutilizzati della città in spazi pubblici con la partecipazione attiva dei suoi abitanti. Anche l’Italia non è digiuna di queste iniziative dal basso. A Roma, quartiere San Lorenzo, da anni è attiva la Libera Repubblica di San Lorenzo, un’associazione che promuove operazioni di riappropriazione dello spazio urbano come quella portata avanti in Piazza dell’Immacolata, dove l’artista Lorenzo Crudi ha dipinto un imponente murale a pavimento. Tra i membri dell’associazione c’è Emilia Giorgi, attivista e ricercatrice in studi urbani, che sul rapporto di collaborazione tra pubblico e privato ha però un punto di vista sensibilmente differente: «Non sono contraria all’intervento del privato tout court, a patto che il bene pubblico non venga abbandonato nelle mani del privato senza alcun tipo di controllo sul suo destino. A questo scopo, è necessario che il pubblico applichi una forte vigilanza, con accordi rigorosi, trasparenti e specifici, perché l’obiettivo prioritario è che il bene pubblico non diventi un ambito precluso se non di diritto di fatto alla libera e spontanea fruizione dei cittadini, intendo di tutti i cittadini. Per dirla con un’immagine: se un privato gestisce una piazza, in quella piazza ci devono poter andare i bambini in bicicletta o con un pallone tra i piedi: altrimenti no, non è realmente uno spazio pubblico. Un esempio virtuoso? I giardini di Piazza Vittorio a Roma, recentemente rinnovati dopo anni in stato di abbandono, che hanno mantenuto la piena fruibilità da parte dei romani». In fondo, la partita si gioca sul filo sottile che separa gli spazi pubblici, cioè “di proprietà pubblica”, da quelli semplicemente “aperti al pubblico”, cioè aree private accessibili gratuitamente, come una corte o un centro commerciale, oppure dietro pagamento di un biglietto, come un museo.
Photo Michele De Andreis. Fashion editor: Concetta D’Angelo. Di sfondo, lo scorcio d’interni dell’hotel con un’opera pittorica di franco ferrari.
Photo Michele De Andreis. Fashion editor: Concetta D’Angelo. Di sfondo, lo scorcio d’interni dell’hotel
Per alcuni, come Sarah Gainsforth, ricercatrice indipendente, saggista ed esperta di trasformazioni urbane, dietro a molte cosiddette “restituzioni” si nascondono in realtà vere e proprie privatizzazioni: «Quando un privato ottiene in gestione uno spazio, viene meno la capacità decisionale dei cittadini. Così, nel vuoto d’iniziativa pubblica che si viene a creare, spesso quell’ambito urbano, con tutto il suo valore storico, monumentale, simbolico e sociale, viene ridefinito rigidamente secondo nuove logiche turistiche o commerciali spesso estranee al contesto, talvolta addirittura stranianti ed escludenti. Lo spazio pubblico, al contrario, per sua natura, dovrebbe invece rimanere sempre mobile, malleabile, aperto al nuovo, all’imprevisto, spontaneo e informale in un certo senso». Anche il sistema delle Fondazioni private, strumenti sempre più utilizzati, per esempio, per la gestione degli spazi museali, non convince appieno i più diffidenti e critici riguardo all’intromissione di soggetti privati nella sfera pubblica. È il caso di Lucia Tozzi, studiosa di urbanistica e autrice del recentissimo L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e delle politiche urbane (Cronopio, 2023), un volume dedicato allo storytelling del “Modello Milano” degli ultimi decenni. Tozzi, milanese di adozione, ma napoletana di origine, porta l’esempio del Cimitero delle Fontanelle al Rione Sanità, oggi inaccessibile per interventi di manutenzione che durano da diversi anni, che il Comune di Napoli vorrebbe musealizzare e affidare in gestione ai privati. «Prima della chiusura, il cimitero era un luogo accessibile a tutti senza pagare l’ingresso. Il Comune, anziché prevedere un investimento per riaprirlo, preferisce metterlo sul mercato affidandolo ai privati tramite un bando. Con la conseguenza che i soggetti partecipanti dovranno competere tra di loro e poi cercare di massimizzare l’investimento, a tutto svantaggio della fruibilità». Pubblica, appunto.