Arcangelo Sassolino, alla ricerca del Dna della materia
Da una fabbrica di giocattoli di New York alla Biennale d’arte di Venezia. Da inventore a visual artist apprezzato in ogni angolo del mondo. In estrema sintesi, è stato questo il percorso di Arcangelo Sassolino, classe 1967, che da giovane si è trasferito nella Grande Mela per creare giochi per grandi e piccini. La vita dell’artista veneto – da sempre diviso tra ingegneria e arte – ha imboccato una direzione inaspettata nel momento in cui uno dei suoi prototipi ha riscontrato un successo notevole, al punto da permettergli di sfruttare le royalties del giocattolo prima per pagarsi gli studi – si è iscritto all’Accademia delle arti di New York – e poi per aprire un enorme laboratorio in mezzo al verde di Trissino, in provincia di Vicenza, nella sua amata terra che ora non lascerebbe «nemmeno sotto tortura». Quella che era un’ex manifattura è divenuta la casa delle sue sculture, un rifugio creativo, il regno dove – assieme ai suoi collaboratori stretti – dà vita a un’arte che non è per tutti. Un’arte che, al tempo stesso, stupisce e infastidisce: è d’impatto, multisensoriale e ti sbatte in faccia la realtà senza chiedere permesso. È una metafora della complessità e della precarietà del mondo odierno, poliedrico e in costante evoluzione.
Scovare il Dna della materia: il fine ultimo di Arcangelo Sassolino
Le opere di Arcangelo Sassolino sono molto diverse tra loro. Uno dei pochi elementi di continuità, però, è la costante ricerca dei limiti della materia, sottoposta a pressioni esterne che portano – prima o poi – a un punto di rottura. Il leitmotiv è “tirare la corda” per capire quando, come e dove si spezzerà. «Voglio tirare fuori il Dna della materia, è questo il mio approccio alla scultura. Quello è solo un pezzo di legno morto, però mi piace l’idea dargli un’ultima possibilità di cantare», ci spiega l’artista indicando una delle sue opere più famose, ossia una trave di legno penetrata da un pistone idraulico (azionato da fotocellule) che pian piano la divide a metà. Lì di fianco c’è Piccolo animismo, installazione composta da quattro lastre di acciaio inox saldate che – in seguito alla sottrazione e all’immissione di aria al suo interno – tuonano improvvisamente: il rumore è assordante. «Costruisco questi congegni non per la loro estetica formale, ma perché voglio far sperimentare una fruizione quasi fisica: il dolore. È un po’ una riflessione sul fatto che tutto è fragile, che siamo testimoni giornalmente delle cose che cambiano in maniera inaspettata. Nelle mie opere c’è sempre un elemento di fallimento», racconta.
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Arte, fisica e ingegneria
Sassolino applica l’ingegneria e la fisica all’arte, giocando sulla tensione tra tecnologia e natura e sul concetto di sconfinamento. Vuole liberare le opere dal “problema” della forma e sperimentare sempre un nuovo risultato. Arte cinetica all’ennesima potenza. «Questa sorta di grande piatto con sopra del petrolio sta ruotando da dicembre. Il petrolio non cade perché la rotazione compensa la gravità. Mi piace quest’idea di rendere la scultura liquida, con una forma che continua a evolversi. Siamo dentro a un momento storico che è indefinibile, che non è mai fermo. Infatti, non so se questo diventerà mai un lavoro definitivo», spiega l’artista vicentino mentre ci mostra la sala principale del suo studio. Un’altra opera iconica e intrisa di significato è Damnatio Memoriae, ossia una macchina di acciaio inossidabile (alta 3,3 metri) che riduce in polvere una scultura in marmo tramite una specie di levigatrice: «Per me è tutto un flusso unico, poi il significato viene a galla in maniera diversa ogni volta. La mia ossessione è quella legata alla fisica, alla dinamicità», confessa Sassolino, spesso definito come un “filosofo della fisica e dell’ingegneria”.
Sassolino alla Biennale di Venezia con Diplomazija astuta
La prossima tappa della carriera di Sassolino è la Biennale di Venezia (23 aprile-27 novembre), dove al padiglione di Malta esporrà Diplomazija astuta. Si tratta di un’installazione cinetica che reinterpreta La decollazione di San Giovanni Battista (1608), celebre dipinto di Caravaggio che caratterizza la Concattedrale di San Giovanni a La Valletta. In cosa consiste l’opera? In attesa del via alla manifestazione veneziana, ecco qualche dettaglio in anteprima. All’inizio avrete davanti sette (il numero dei soggetti del quadro di Caravaggio) vasche d’acqua. Dentro questi enormi recipienti cadranno delle gocce di acciaio fuso – provenienti dall’alto – che sfrigolano a contatto con l’acqua e si disperdono sul fondo, creando un effetto ipnotico. Un’opera estremamente dispendiosa, e per questo assemblata sotto i consigli di figure esperte nel campo della sostenibilità ambientale: oltre a una manutenzione giornaliera, serviranno più di 25mila chilogrammi di acciaio (riciclabile all’80%) che si fonderanno automaticamente – seguendo cicli da sei minuti – grazie a un apposito sistema creato da Sassolino e dai suoi collaboratori. Un esperimento folle e affascinante, capace di rendere giustizia alla genialità del visual artist vicentino.
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